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In una vita, il vivere

Recensione di “Andrà tutto abbastanza bene” di Arianna Franzan

Arianna Franzan, Andrà tutto abbastanza bene, Priamo/Meligrana Editore

Un piccolo, prezioso tesoro di memorie. Un fascio di emozioni sospeso tra dramma e commedia, sorriso e pianto, investito ma non travolto dai grandi eventi della storia, immiserito ma non vinto dalla brutalità della guerra, ferito dall’ipocrisia del mondo, insultato dalla sua grettezza, dal suo egoismo, dalla sua nuda cattiveria e tuttavia salvato dalla compassione, dall’amore, dalla pietà, da un ottimismo ingenuo, fanciullesco e puro che ha il color del miele di un’alba limpida e l’abbandonata dolcezza di un abbraccio.

Il bel romanzo d’esordio di Arianna Franzan, Andrà tutto abbastanza bene (Priamo/Meligrana Editore) è un viaggio carico di bontà e meraviglia in vite all’apparenza così insignificanti da non meritare attenzione alcuna; quella che si racconta in queste pagine deliziose, sfiorate da una prosa agrodolce, che in continuo mutar di prospettive muove alla commozione e immediatamente dopo all’ilarità, che si affaccia sull’abisso per poi voltarsi verso la salvifica immensità del cielo, è una cronaca di vite minime, di esistenze ai margini; è il quotidiano agire (e patire) di gente semplice, di “poveri amanti”, ma in tutto questo silenzioso respirare, nei desideri trattenuti di giovani troppo presto sacrificati al lavoro, nella costante preoccupazione di avere a sufficienza per poter tirare avanti, per arrivare a salutare un altro giorno, l’autrice lascia che a scintillare, a catturare l’attenzione del lettore, siano le cose autentiche, ciò che, giorno dopo giorno, regala un senso ai nostri sforzi, al nostro dolore, ai momenti di gioia, alla rassegnazione e alla speranza, alla testardaggine e alla rinuncia.

E così, all’ombra di eventi epocali (in special modo i due conflitti mondiali che hanno insanguinato il Novecento, e tutto ciò che hanno portato con loro e le conseguenze che hanno avuto), Arianna Franzan riesce a narrare, con la travolgente semplicità propria del racconto orale, con quell’incanto unico che appartiene a voci che riempiono una stanza, a occhi che penetrano in altri occhi, a mani che si sfiorano, a un calore umano condiviso, qualcosa di sé che viene da molto lontano: ricordi di bisnonni, nonni e padri dove sembra regnare sovrana soltanto la confusione. Una confusione che è prima di tutto ignoranza, e poi sbadataggine, e ancora un menefreghismo portato talmente all’estremo da arrivare quasi a essere qualcosa di criminale; ma da tutta questa babele di errori, talmente folle da toccare persino gli estremi opposti della vita e della morte, intrecciandoli tra loro fino a renderli indistinguibili, ecco emergere distinta e fiera la figura della protagonista del romanzo, Isetta, niente più che una ragazza di campagna che un giorno sarà madre (di nove figli) e nonna, la cui conoscenza delle cose è una teoria quasi ininterrotta di meraviglie, e il cui rapporto con esse si riassume in un quieto fatalismo che se da una parte aiuta ad affrontare (e soprattutto ad accettare, nel modo in cui si accetta ciò che non si ha la possibilità di comprendere, ciò che non può essere spiegato) i rovesci che la vita sembra non stancarsi mai di dispensare, dall’altro è fonte inesauribile non solo di saggezza pratica, ma di una trasparente felicità che nasce da una sorta di intuito, da una conoscenza impossibile da acquisire perché connaturata all’atto stesso di nascere, di venire al mondo: una conoscenza che indovina in tutte le cose, nella loro enigmatica articolazione, nei disegni imperscrutabili del destino, nel mistero insondabile racchiuso nel tempo che deve ancora venire, un equilibrio, un bilanciamento, qualcosa di impalpabile eppure talmente concreto, nella sua evanescenza, nel suo spettrale esserci, da convincere che malgrado le difficoltà, la fame, le ingiustizie, le violenze, “andrà comunque tutto abbastanza bene”.

Oltre la biografia e l’autobiografia, al di là dei richiami al lacerante passato d’Italia, il romanzo di Arianna Franzan colpisce e conquista per la delicatezza del linguaggio, per la sua capacità di scorrere, come acqua, dalla sofferenza alla pace del cuore, e in special modo per la prospettiva da cui sceglie di guardare la realtà, soffusa di candore, certo, ma non per questo priva di intelligenza e di una sottile, irresisitibile malizia. Andrà tutto abbastanza bene, in una parola, è un felice, felicissimo esordio.

Eccovi l’incipit. Buona lettura e i miei più sinceri auguri di Buone Feste.

C’era un tavolo in mezzo alla stanza. Un tavolo massiccio e quadrato, con un piano rosa. E senza posto a capotavola. Grande: che intorno ci si dovevano sedere undici persone. Un tavolo democratico.

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