Recensione di “Dove nessuno ti troverà” di Alicia Giménez-Bartlett
Uomo o donna? Semplice pastore o criminale inafferrabile e spietato? Assassino senza scrupoli o montanaro ignorante abituato soltanto alla compagnia degli animali? E ancora, fiero militante della lotta partigiana antifranchista o bandito senza bandiera né ideale? Chi si nasconde dietro la misteriosa figura nota in tutta la Spagna con il nome di “Pastora”?
A queste domande, che si situano al crocevia tra storia e leggenda, tra cronaca e mito, cerca di dare una risposta la scrittrice spagnola Alicia Giménez-Bartlett nel bel romanzo intitolato Dove nessuno ti troverà, vincitore nel 2011 del premio Nadal de novela. La vicenda narrata dalla Bartlett ha come protagonista una persona reale, Teresa Pla Meseguer, nata da una povera famiglia di contadini e affetta da una malformazione degli organi genitali che le attirò, fin dalla più tenera età, scherno e ostilità, ma assieme a lei, o per meglio dire attorno a lei, l’autrice costruisce un ritratto cupo, doloroso e violento di una Spagna incapace di superare il terribile trauma della guerra civile.
Nel prendere le mosse dal “mistero Meseguer”, nemico pubblico numero uno del Paese, incubo e ossessione della Guardia Civil, capace di sfuggire per anni alla cattura grazie alla sua perfetta conoscenza delle montagne e dei loro segreti, la Bartlett, mescolando abilmente noir, avventura e ricostruzione storica, finisce per dar forma a un potente e crudo romanzo politico che è un trasparente, lucidissimo atto d’accusa al proprio Paese.
Ambientato alla metà degli anni Cinquanta, Dove nessuno ti troverà gioca sulla contrapposizione caratteriale (chiara metafora di un preciso punto di vista sociale e politico) dei suoi due personaggi principali, il cinico e disilluso giornalista spagnolo Carlos Infante, che proprio come la terra che lo ha visto nascere non riesce a sanare le ferite inferte alla sua anima dal sanguinoso scontro fratricida che ha opposto repubblicani e nazionalisti, e l’ingenuo ed entusiasta psichiatra francese Lucien Nourissier, docente alla prestigiosa università Sorbona di Parigi e desideroso di dedicarsi a un lavoro di ricerca su criminali affetti da patologie psichiche. Attratto da un articolo sulla “Pastora” scritto da Infante, il medico prende contatti con il giornalista e lo incontra a Barcellona per proporgli una cosa a prima vista folle: un viaggio di tre mesi nei luoghi in cui Meseguer è sempre vissuta e dove, a parere delle frustrate milizie franchiste, ancora si nasconde, vivendo ormai in condizioni semiselvagge.
Scopo del viaggio, raccogliere quante più notizie possibili su questo vero e proprio enigma vestito di un alone quasi mitico, su questo eroe-omicida in pari tempo amato e odiato, rispettato e temuto, e, nei limiti del possibile, fare ogni sforzo possibile per incontrarlo e farsi raccontare dalla sua viva voce la storia senza alcun dubbio unica della sua vita. E il viaggio, come spesso accade, si rivela occasione di scoperta e riscoperta: di nuovo nelle terre in cui ha abitato da ragazzo e che ben conosce, Infante deve affrontare non solo i fantasmi del passato ma anche l’insidiosa diffidenza e la violenza improvvisa e bestiale che quelle zone, teatro di numerosi scontri tra la vittoriosa milizia fascista di Francisco Franco e le forze partigiane, hanno inoculato come veleno e che, peccato impossibile da mondare, si è trasmessa di padre in figlio e ancora regola ogni rapporto; all’opposto, Nourissier, per la prima volta a tu per tu con realtà individuali e collettive talmente sature di sofferenza da riuscire insopportabili finisce per smarrire se stesso: incantato dallo splendore naturale di quei luoghi primitivi e puri e in pari tempo inorridito dalla loro eredità di sangue e morte, il medico mette in discussione tutte le sue certezze, dall’amore incondizionato per la famiglia, che ansiosa ne attende il ritorno a casa, alla sua esistenza, così quieta e soddisfacente da sembrare qualcosa di subìto più che il frutto di scelte consapevoli, di decisioni libere. E alternato a questo drammatico smarrirsi, all’emergere di due persone nuove, plasmate da quelle circostanze così particolari, al nascere e al consolidarsi di qualcosa di simile a un’amicizia, ecco giungere, dall’infanzia alla maturità, il racconto della “Pastora”, la sua confessione, la sua “versione dei fatti”, le sue memorie, che sono un frammento della storia di Spagna e i ricordi pieni di lacrime, rabbia e dolcezza di una giovane vita cui il destino ha riservato una messe di disgrazie ma alla quale, per una strana misericordia, ha anche donato una sensibilità non comune, e una forza, tanto fisica quanto morale, che ha permesso il compiersi di miracoli: da quello dell’amicizia virile e della solidarietà a quello di un ideale di giustizia tradotto in quotidiana coerenza di comportamento, in lealtà, nella semplicità disarmata e invincibile di un sentire sincero, espresso senza timore né calcolo.
Dove nessuno ti troverà è un romanzo potente, di grande intensità emotiva e soprattutto travolgente nella prosa, nella scelta coraggiosa dell’autrice di non narrare “a distanza di sicurezza” ma di lasciarsi toccare, anzi sporcare dai fatti, di prendere posizione, di “non tacere sfruttando le parole altrui”; le voci dei suoi personaggi, infatti, sono la voce di Alicia Giménez-Bartlett, l’eco tanto della mestizia quanto del suo testardo sperare.
Eccovi l’incipit del romanzo. La traduzione, per Sellerio, è di Maria Nicola. Buona lettura e di nuovo tanti auguri a tutti.
Barcellona, settembre 1956. Carlos Infante notò con soddisfazione che quella mattina il cielo era sereno e splendeva il sole. Solitamente non gli importava nulla del tempo che faceva. Gli bastava avere un ombrello se pioveva o il suo vecchio giaccone se faceva freddo. Ma quel lunedì era un giorno speciale, o almeno prometteva di esserlo.