Recensione di “Una vita cinese – Il tempo del Partito” e “Una vita cinese – Il tempo del denaro” di Li-Kunwu e Philippe Ôtié
Avevamo lasciato il nostro autore-protagonista Li-Kunwu (la recensione la trovate qui) in preda a grande sgomento, lo stesso che aveva colto l’intero popolo cinese: il presidente Mao era morto. Il Grande Timoniere non era più al suo posto. Un miliardo di sudditi non sapeva più come affrontare il futuro. I decenni successivi a quel fatidico 1976 sono ripercorsi da Li nei due volumi seguenti della sua ampia e dettagliata autobiografia a fumetti.
(N.B.: ciò che segue contiene vari dettagli che tecnicamente potrebbero essere considerati spoiler. Ma ci perdonerete, visto che in realtà stiamo parlando della pura Storia – con la maiuscola – della Cina)
Riviviamo quindi con Kunwu gli anni del potere del Partito comunista: non è più una persona a guidare la Cina, ma questa entità suprema, quasi ancestrale dal punto di vista del popolo. Anzi, la massima aspirazione per ogni “compagno” è proprio quella di entrare nella fittissima rete organizzativa dell’apparato. Il nostro Li non è da meno: spinto anche da suo padre – che vede proprio il Partito come unico vero punto di riferimento – farà di tutto per entrarvi, accettando anche incarichi massacranti ed alienanti durante la sua carriera militare, superando anche le delusioni amorose, la lontananza dalla famiglia e la morte dello stesso suo padre. La nuova svolta arriva negli anni Ottanta, con la salita al potere di Deng Xiaoping, che per primo indica l’apertura al mondo come via di sviluppo e di progresso per l’ex Celeste Impero. È ormai tempo che la Cina, dopo una prima fase di circa dieci anni da impiegare «per sfamare e vestire il popolo», attraversi una fase lunga fino alla chiusura del Novecento per far «emergere una piccola borghesia». In seguito, «la terza tappa avrà luogo all’inizio del XXI secolo, quando la società cinese raggiungerà modernità e sviluppo». Lo scopo finale: «Costruire una società socialista che abbia caratteristiche cinesi».
Una vera rivoluzione (termine complicato da usare in questo contesto…), che non mancherà di colpire i cinesi più anziani e conservatori, terrorizzati all’idea di perdere la loro “ciotola di ferro”, immagine dello Stato che si occupa di ogni tuo bisogno dalla culla alla tomba, in favore della nuova “ciotola di terracotta”. Kunwu assisterà quindi alla nascita delle prime piccole iniziative private, alla distruzione di interi quartieri di vecchie case per lasciare spazio a edifici moderni e funzionali, allo spostamento di immense masse dalle campagne alle città, all’esplosione del “made in China” che, ai giorni nostri, ha invaso e invaderà sempre più l’intero pianeta. Ma anche se questa Cina del secondo decennio del Duemila è irriconoscibile ai suoi occhi; anche se Li ricorda – nelle ultime pagine del terzo volume – i tempi lontani della Rivoluzione di Mao; anche se comprende in pieno le tragedie di allora e i gravissimi problemi di oggi; nonostante tutto, l’autore-protagonista non mancherà di sottolineare, quasi gridando, il legittimo orgoglio del suo essere cinese. Detto della “trama”, non possiamo ora che ripeterci, rispetto alla nostra prima recensione: siamo davanti a un’opera di livello assoluto, un diario autobiografico a fumetti che ci rivela il punto di vista di un “vero” cinese. Un uomo che ha vissuto “da dentro” quegli anni difficilissimi, che noi occidentali non abbiamo mai avuto la possibilità di capire in pieno, sia per la frammentarietà delle notizie che ricevevamo, sia per – soprattutto – il filtro delle ideologie politiche che da opposti punti di vista influiscono comunque sul nostro giudizio. Anche grazie all’intervento del francese Philippe Ôtié, che ha aiutato Kunwu a depurare il suo lavoro dagli aspetti che per noi occidentali sarebbero risultati incomprensibili, abbiamo così un quadro d’insieme sincero e sentito, ma anche privo di giudizi su questa o quella fase. Come dire: io vi racconto come è andata dal mio punto di vista “vissuto”, ma ogni valutazione la lascio a voi lettori. Interessante, più di molti altri momenti, è ad esempio uno dei momenti che in assoluto, alle nostre longitudini, fece più rumore: la rivolta di piazza Tienanmen. Qui i due autori hanno inserito un bellissimo momento di puro meta-fumetto, raffigurandosi in prima persona, durante il loro dibattito su come affrontare il tema, tanto eclatante per noi quanto oscuro e insidioso per gli orientali…
Dal punto di vista del disegno, infine, Una vita cinese rappresenta qualcosa di completamente diverso da ciò a cui noi siamo abituati dagli artisti dei due lati dell’Atlantico (e questo potrebbe non essere strano), ma anche dagli autori giapponesi e coreani, visto che lo stile di Kunwu non ha proprio nulla che ricordi neppur vagamente il manga. Intendiamoci, i tre volumi di Una vita cinese non sono una lettura facile: parliamo di oltre 700 tavole, molto intricate, ricchissime di dettagli, dai nomi (ovviamente) complessi, scritte e disegnate – come dicevamo – con uno stile affascinante proprio in quanto inusuale, ma che proprio per questo obbligano a una concentrazione diversa da quella richiesta da un graphic novel “tradizionale”. Ma se lo si prende per quello che è – un’opera unica, un libro di storia sociale e politica, oltre che il vero prototipo di un modo nuovo, addirittura alieno, di far fumetto – Una vita cinese va letto: non a caso, è un fenomeno editoriale a livello planetario, tradotto in ben 16 Paesi. In Italia ci ha pensato Add Editore, cui va il nostro personale applauso.
(Antonio Marangi)