Recensione di “Il libro dei bambini” di Antonia S. Byatt
Cosa potrebbe succedere se si decidesse di forzare qualcosa che, pur essendo inevitabile, giunge senza preavviso? Quali conseguenze può scatenare una sfida lanciata al destino, al caso, alla vita? Quale misterioso peccato si commette nel momento in cui si decide che la bellezza, che prima o poi dovrà comunque attraversare la strada della nostra esistenza, può essere addomesticata, resa mansueta, e condotta obbediente fino alla porta di casa? È forse tracotanza fabbricare le corde che cattureranno lo spirito errabondo della felicità?
E se anche fosse così, se anche si trattasse di smisurato orgoglio, se anelare all’assoluto significasse voler prendere il posto di Dio, non sono forse immagine e somiglianza di Dio le creature umane? Non sono, esse, uno dei suoi innumerevoli specchi? Di una felicità costruita ad arte e attraverso l’arte alimentata, di un sogno ininterrotto e vigile fatto di parole, di racconti, di libri, di invenzioni, di sussulti di menti geniali che con identico ardore hanno spiccato balzi verso il Paradiso e si sono lasciati scivolare nei più cupi e atroci abissi infernali, racconta in un romanzo indimenticabile, per il quale non è esagerato usare l’impegnativo termine di capolavoro, la scrittrice inglese Antonia Susan Byatt, autrice del magnifico e lacerante Il libro dei bambini.
Opera multiforme, che nella sua architettura ne comprende molte, che nello svolgersi di un’unica trama ne rivela molteplici, correndo nella storia, rivisitando la letteratura, leggendo in modo completamente nuovo, con un’originalità e nello stesso tempo una precisione assoluta, il teatro e le sue ricchissime “forme minori” (come gli spettacoli delle marionette, riprodotti in ogni dettaglio con un pathos da tragedia greca), andando alla scoperta dei mille segreti della scultura, dell’arte “povera e splendida” dei vasai e dei ceramisti, il cui talento è spesso alimentato da ossessioni e incubi, Il libro dei bambini ha lo splendore di un affresco, la composta, complessa perfezione di un arazzo.
Romanzo familiare che nello svolgersi delle sue 700 pagine (ma altrettante non sarebbero state un peso, anzi) narra di più famiglie, tutte in qualche misura imparentate tra loro, romanzo d’avventura che di continuo mescola la finzione metaletteraria (una delle protagoniste è una scrittrice di successo di racconti per l’infanzia che per ognuno dei suoi sette figli ha inventato una storia e anno dopo anno, come un ragno placido e soddisfatto nel centro esatto del suo palazzo, ne fila nuovi brani, in un succedersi infinito di storie) con la “verità letteraria” di ciò che accade al di fuori dei libri, romanzo storico che della storia riporta tanto le tragedie (le pagine finali dell’opera si chiudono con lo scempio folle del primo conflitto mondiale, che ogni cosa travolge nella sua scandalosa, inarrestabile risacca di morte) quanto le utopiche speranze che così testardamente ha portato in grembo (ambientato tra la fine del XIX secolo e i primi due decenni del XX secolo, Il libro dei bambini riflette a più riprese sulle istanze egualitarie e sugli ideali di giustizia politica e sociale propugnati dalla Società Fabiana), storia d’amore e d’amicizia, di lealtà e tradimenti, di crudeltà e passione, questo straordinario lavoro della Byatt è un labirinto di suggestioni, uno scrigno colmo di tesori. In una prosa di trascinante bellezza, evocativa, quasi magica, ipnotica nel ritmo e nel lussureggiare descrittivo, l’autrice guarda, come gli attori del suo libro, ai bambini, svelando una alla volta le ipocrisie che i suoi personaggi adulti accumulano sul frutto dei loro amori, delle loro vigliaccherie, dei loro insaziabili istinti. E quel che emerge, quando anche l’ultima pagina dell’ultimo libro per bambini è stata letta, quando le luci si sono spente per l’ultima volta sul palcoscenico dove si sono esibite marionette più autentiche e credibili di attori in carne e ossa, quando anche l’incantensimo più potente è stato pronunciato e per un istante ha illuminato le tenebre e reso più brillanti le stelle, è la nudità impotente dell’illusione, la materia appesantita e volgare dei corpi, frustata dall’indifferenza degli elementi, ghermita dai corvi, la cui fame non conosce sazietà.
Eccovi l’incipit del romanzo. La traduzione, per Einaudi, è di Anna Nadotti e Fausto Galuzzi. Buona lettura.
Due ragazzi si trovavano nella galleria del principe consorte, e ne guardavano un terzo, più in basso. Era il 19 giugno 1895.
La sua accurata e coinvolgente recensione del suddetto libro ha fatto nascere nella mia mente infiniti paesaggi letterari e un desiderio assoluto di acquistarlo. Grazie per i suoi contributi eccezionali. Nadia
Grazie a lei del benevolo giudizio. Mi auguro vorrà continuare a seguire il blog. Buone letture!
Un libro straordinario
Concordo