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I soldi degli altri

Recensione di “JR” di William Gaddis

William Gaddis, JR, Alet

William Gaddis è uno dei più importanti autori del Novecento e sorprendentemente uno dei meno conosciuti. “Colpa”, se di colpa si può parlare, del suo stile di scrittura, volutamente ampolloso, bizantino, talmente ricercato di risultare, a tratti, stucchevole. Tutte queste caratteristiche, funzionali alla volontà dell’autore di virare in farsa i temi trattati nei suoi romanzi (perché la vita, a conti fatti, non è che una ridicola tragedia), rendono la sua prosa difficilmente traducibile – Gaddis è americano. Per fortuna sua, nostra, e di tutti coloro che non conoscono l’inglese alla perfezione, un suo romanzo, JR, oltre a essere un capolavoro è anche una meravigliosa innovazione stilistica; si sviluppa infatti come un ininterrotto dialogo diretto. Si legge dunque senza alcun problema anche tradotto. Consiglio di partire da qui nell’esplorazione dell’universo di Gaddis. Vi aspetta un’esperienza che non dimenticherete facilmente. Ora, se non siete ancora stanchi di leggere, una nota sul romanzo (e sull’autore) che ho pubblicato anche nel mio  profilo su Facebook (Paolo Vitaliano Pizzato). Iniziativa davvero meritoria quella che sta portando avanti la Casa Editrice Alet: la riedizione dell’opera completa di William Gaddis, a mio avviso uno dei più grandi scrittori del Novecento. Poco noto al grande pubblico, Gaddis è autore di cinque romanzi, due dei quali si sono guadagnati il National Book Award (una media niente male). Ciascun romanzo tratta un tema specifico. Le perizie, suo esordio letterario, tratteggia un mondo nel quale la sola verità possibile è la menzogna; un falso che è dovunque, in primis nei caratteri descritti, nei personaggi, prigionieri delle quotidiane ipocrisie che sono la sostanza della vita di ognuno di noi, e che inevitabilmente riverbera in quel che fanno (la figura centrale del libro è quella di un giovane versato nell’arte di dipingere che si specializza nella falsificazione di celebri tele). Esplorare assieme a Gaddis l’infinito labirinto di specchi che è questo suo romanzo (nel quale ogni immagine non è che la replica di un’illusione, un miraggio continuamente riproposto, un cieco girotondo) è un’esperienza estenuante ed esaltante nello stesso tempo. Perché in Gaddis è sempre presente, al di là della minuziosa descrizione dell’esistere in cui siamo immersi, il disvelamento del trucco che fa da precario sostegno alle nostre vite (le quali non sono altro che una maschera bianca, un volto privo di espressione su cui affannati rovesciamo il trucco e il belletto di una troppo umana creatività: un pasticciato arzigogolo fatto di bugia, afflato religioso, arricchimento personale, affermazione professionale; gli argomenti dei suoi lavori). Ammiccante prestigiatore che prima mette in scena il suo spettacolo di magia e poi, con la stessa noncuranza con cui si sgonfia un palloncino pieno d’aria, lo spoglia di tutto il fascino così faticosamente costruito (ma la fatica, lo sforzo, è dei personaggi, non dell’autore), Gaddis lascia che la verità (ma forse sarebbe meglio dire la semplice realtà, ciò che è) irrompa libera nelle coscienze dei lettori; con violenza, certo, ma anche nei suoi abiti grotteschi, assurdi, folli, perché le umane vicende hanno il taglio disarmonico dei vestiti dei giullari, sono macchie di colore che confondono la vista.

E lo stile di questo meraviglioso scrittore segue e asseconda la caotica marea della vita facendosi iperrealista, affastellando equivoci e momenti di imbarazzo, gonfiandoli fino all’estremo limite, carezzando con insistita voluttà il confine tra la verisimiglianza e il suo contrario. Se ne Le perizie l’equilibrio tra dramma e commedia è in qualche misura mantenuto, in JR (a partire dall’illuminante introduzione di Tommaso Pincio – felice pseudonimo di uno scrittore che ha scelto di omaggiare così Thomas Pynchon, altro autore americano di straordinario talento), racconto delle peripezie di un undicenne trascurato dalla madre, che dopo una gita scolastica alla Borsa capisce il meccanismo che sta alla base dell’economia capitalistica (“il trucco sta nel far lavorare per te i soldi degli altri”), si mette al telefono, finge di essere adulto e costruisce un impero finanziario, è l’iperbole a trionfare. Un’iperbole che ha la forma originalissima di un ininterrotto dialogo diretto – fatte salve le necessarie scene di raccordo – che si protrae per quasi 1.000 pagine e che lascia il lettore alla finestra, a osservare incuriosito, rapito, quel che accade nell’appartamento di fronte, o lo piazza dietro un uscio, ad ascoltare coloro che si parlano nell’altra stanza, e a scoprire, pezzo dopo pezzo, la vicenda che emerge dalle loro chiacchiere.

Romanzo irresistibile e dirompente, JR è esperimento, esercizio di stile, rappresentazione compiuta e definitiva del sogno americano e sua altrettanto definitiva destrutturazione (un passo più in là della semplice distruzione); è una summa dell’arte e del mestiere di scrivere. È un’opera da non perdere.

Eccovi l’incipit, la traduzione è di Vincenzo Mantovani. Buona lettura.

«Moneta?…?» con una voce che era un fruscio. «Carta, sì». «E non l’avevamo mai vista. Cartamoneta». «Non avevamo mai visto cartamoneta prima di venire qui sulla costa orientale».

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