Recensione de “I Viceré” di Federico De Roberto
Se con il termine classico intendiamo definire opere che per universalità degli argomenti trattati, radicalità dei nodi problematici affrontati e inevitabilità dei quesiti posti travalicano i secoli e si offrono, intatti, alla sensibilità del pubblico di ogni tempo, allora, senza dubbio alcuno, I Viceré di Federico De Roberto è un classico. La storia è quella di una nobile famiglia catanese in declino, quella degli Uzeda di Francalanza; il periodo quello risorgimentale, ma al di là della connotazione temporale e geografica, quel che rende meraviglioso, affascinante, unico (e, mi permetto di aggiungere, irrinunciabile) il romanzo è l’attualità del quadro politico rappresentato, e dei personaggi che – nel bene come nel male – lo animano. Niente, davvero niente di sostanziale, di essenziale, sembra cambiato dal 1894 (anno di pubblicazione del romanzo) a oggi nella vita istituzionale italiana, che per intero vive nel lucido, tagliente sfogo finale di Consalvo Uzeda. Pagine di letteratura che sarebbe bene studiare a scuola; parole che hanno il pregio, rarissimo, di radicarsi nell’anima del lettore, di abitare con lui. Quel che la politica è nel nostro tempo e nel nostro Paese è perfettamente descritto e spiegato ne I Viceré. Colpa dell’Italia, dirà qualcuno con ragione, realtà immobile, morta gora. Colpa dell’Italia, certo, ma una colpa che nulla toglie alla grandezza di De Roberto e che anzi, proprio attraverso lo sguardo di noi moderni, ne esalta l’implacabile lungimiranza.
Leggete De Roberto, è un tesoro prezioso.
L’ha ribloggato su l'eta' della innocenza.