Recensione di “L’assassinio di Roger Ackroyd” di Agatha Christie
Se il perfetto meccanismo dell’intreccio non è certo una novità, perché è assai raro che Agatha Christie deluda, quel che desta stupore e ammirazione ne L’assassinio di Roger Ackroyd, uno dei romanzi più famosi della scrittrice inglese, oltre allo slittamento del protagonista in un felicissimo secondo piano (Poirot conduce le indagini sul delitto, ma sembra più un personaggio di contorno; non a caso, e lo si dice espressamente, si è ritirato dall’attività per dedicarsi alla coltivazione delle zucche) è la scelta di narrare l’intera vicenda in prima persona: a farlo è il dottor James Sheppard, medico del villaggio di King’s Abbott, teatro del misterioso fatto di sangue.
Agatha Christie narra con leggerezza; descrive quasi divertita la vita di un piccolo paese, densissima di grandi e piccoli segreti che in realtà tutti conoscono, dà vita a una serie di personaggi in sapiente equilibrio tra realismo e caricatura (su tutti Caroline, la sorella di Sheppard, informata di tutto quel che le succede intorno al punto da “poter eseguire qualsiasi indagine standosene in casa”), poi, una volta concluso il quadro d’insieme, con impeccabile raffinatezza introduce l’omicidio.
A dire il vero il romanzo si apre già con una morte, quella della signora Ferrars, ricca vedova sospettata di aver avvelenato il marito, scomparso da poco più di un anno: si tratta, ed è lo stesso Sheppard a certificarlo, di qualcosa di assolutamente naturale, al massimo di un caso di fatale sbadataggine – la donna era solita prendere del Veronal per dormire, probabile che abbia esagerato la dose – ma l’autrice, pur in un’atmosfera quasi ilare, che vede confrontarsi sulla doppia ipotesi fine naturale-suicidio il paziente medico e la sorella, irresistibilmente attratta da qualsiasi cosa somigli anche a grandi linee a un enigma, prepara il lettore a un’altra e ben più terribile morte, quella di Roger Ackroyd, innegabilmente ucciso. Tuttavia, prima di arrivare a quello che sarà il fulcro del romanzo Agatha Christie si prende la liberà di presentare in modo davvero insolito Hercule Poirot; ancora una volta, a discutere di lui (perché è il loro nuovo vicino di casa) sono gli Sheppard, ed è impossibile non sorridere di fronte ai loro maldestri tentativi di inquadrarlo: così, alla convinzione dell’uomo in merito a quella che deve per forza essere stata l’occupazione di Poirot, il cui cognome, naturalmente, pronuncia in modo errato storpiandolo in Porrot – “Deve essere un parrucchiere in pensione, non hai visto i suoi baffi?” – segue la rassegnata replica di Caroline, per la prima volta in difficoltà davanti a un uomo tanto garbato quanto sfuggente: “Non riesco proprio a collocarlo” disse in tono dispiaciuto. “L’altro giorno mi sono fatta prestare da lui degli attrezzi da giardino; è stato gentilissimo, ma non sono riuscita a cavargli nulla. Poi gli ho domandato a bruciapelo se era francese, e lui mi ha risposto di no, e non so perché, non ho osato rivolgergli altre domande”.
L’assassinio di Roger Ackroyd, prossimo a sposare proprio la signora Ferrars, è allo stesso tempo chiaro nella sua dinamica e complesso da risorvere. Il cadavere viene rinvenuto nel suo studio, la porta chiusa dall’interno, ma la finestra della stanza, trovata aperta, offre subito all’ispettore incaricato delle indagini la possibilità di mettere a punto una credibile ricostruzione dei fatti: a questo punto non resta che individuare il colpevole, ma è qui che le difficoltà cominciano a emergere, perché i sospettati sono numerosi e tutti sembrano avere un movente per uccidere. Ed è a questo punto che entra in scena Poirot; a coinvolgerlo è Flora Ackroyd, nipote della vittima, che dopo aver chiesto a Sheppard di accompagnarla da lui rivela al medico, che domandava stupito cosa potesse volere la ragazza da un parrucchiere in pensione, chi è davvero quell’uomo: “Cosa dice? Ma è Hercule Poirot! Il celebre investigatore privato! Si dice che abbia fatto dei prodigi, proprio come si leggono nei libri. Un anno fa si è ritirato, ed è venuto ad abitare qui. Mio zio sapeva chi era, ma gli aveva promesso di non rivelarlo a nessuno, perché il signor Poirot voleva starsene tranquillo”. Sulla scia di questa prima scoperta, Sheppard, che si occupa così tanto dell’indagine da diventare l’assistente di Poirot, si trova a tu per tu con le vite private dei possibili assassini, che il geniale detective belga passa al setaccio con il suo impareggiabile acume, finché la soluzione del mistero, l’unica possibile dopo aver scartato tutte le altre, non appare in tutta la sua evidenza. Ed è Poirot a spiegarla fin dei dettagli a Sheppard, perché si tratta di qualcosa di davvero sconvolgente.
L’assassinio di Roger Ackroyd è un piccolo gioiello letterario, un giallo mirabilmente condotto, e forse mai come in questo lavoro la scrittura della Christie ha saputo essere così lieve. Fino al colpo di scena finale, che restituisce l’orrore della morte e ancor più delle ragioni che spingono a uccidere.
Eccovi l’incipt. Buona lettura.
La signora Ferrars morì nella notte di giovedì, tra il 16 e il 17 settembre. Mi vennero a chiamare alle 8 di mattina, venerdì 17. Non c’era niente da fare, era già morta da qualche ora. Quando ritornai a casa, erano appena suonate le nove. Aprii la porta d’entrata e indugiai per qualche minuto nel vestibolo per appendere il cappello e il soprabito. Non voglio con questo dire che in quel momento ebbi una premonizione degli eventi che si sarebbero verificati nella settimana successiva. Ma l’istinto mi diceva che qualcosa stava per accadere. Dalla camera da pranzo, a sinistra, mi arrivò il rumore di tazze e stoviglie, e il tossire secco di mia sorella Caroline.