Recensione di “Noi” di Richard Mason
Una commedia che procede spedita verso la tragedia, che racconta con toni lievi e insieme con crudeltà (una crudeltà che è nei fatti, nelle cose, che stilla come veleno da quel che accade), l’età splendida e terribile dell’adolescenza, gli anni in cui ogni cosa sembra possibile, ogni traguardo raggiungibile.
In Noi, il giovane scrittore inglese di origini sudafricane Richard Mason – qui al secondo romanzo dopo il grande successo ottenuto con il lavoro d’esordio, Anime alla deriva, pubblicato nel 2000 – intreccia quattro diversi destini e lascia che a narrarli siano, in una sorta di confessione, di espiazione mancata carica soltanto di dolore e rimpianto, i protagonisti (in capitoli agili, intitolati con i loro nomi e caratterizzati da una scrittura nervosa, incisiva, attraversata da dialoghi puntuti, gonfi di tensione). Mason costruisce il suo romanzo come un puzzle, una caccia al tesoro, nascondendo indizi e informazioni utili all’interno di una struttura a incastro che spazia lungo diversi piani temporali; il lettore incontra i suoi personaggi in età adulta, già devastati dalle ferite e dai traumi patiti durante la giovinezza e mai superati, e poco alla volta scopre quale terribile eredità ciascuno di loro si porti addosso. Conosce Julian Ogilvie, rampollo di una famiglia abbiente che si è arreso a se stesso e ai suoi sogni finendo per fare, senza amore né convinzione, l’insegnante, e immediatamente sperimenta il senso di vuoto della sua vita ordinaria, priva di sorprese, poi bruscamente si ritrova a tu per tu con Jake Hitchins, artista concettuale affermato ma soprattutto alcolista all’ultimo stadio, caparbiamente votato all’autodistruzione (“Mi osservo nello specchio del bagno […]. Ho gli occhi talmente rossi che sembro una foto mal fatta”, scrive impietoso Mason), e ancora eccolo di fronte ad Adrienne, simbolo, come il professor Ogilvie, della rinuncia, del compromesso, donna di notevole fascino che ha barattato il proprio diritto alla felicità con un matrimonio che le ha garantito ricchezza e un’invidiabile posizione in società e da allora ha imparato ad affrontare (e fingere di superare) problemi e angosce ricordando a se stessa che c’è sempre la possibilità di truccarsi e che, per sua fortuna, può disporre di cosmetici in abbondanza.
Una volta prese le mosse dalla fine della vicenda (o meglio, da situazioni che fanno da premessa alla conclusione del romanzo, che giunge con l’inevitabilità terribile del fato, come se il libero arbitrio delle persone, la loro capacità di incidere su quel che succede, raggiunto e superato il limite di umiliazione, sofferenza e disillusione che un uomo è in grado di sopportare semplicemente cessasse di essere), Mason torna al principio di tutto, alla giovinezza dei suoi personaggi, alle povere origini di Jake, al riscatto offertogli dall’istruzione (riesce, per un caso fortuito a iscriversi a una scuola esclusiva) e al devastante incontro con Chieveley, responsabile delle matricole che prende di mira il nuovo arrivato vessandolo in ogni modo possibile; alla personalità esuberante e intransigente di Maggie – la sorella di Julian, morta per un atroce scherzo del destino – che, venuta a conoscenza delle violenze subite da Jake, progetta una vendetta che si rivelerà fatale per tutti; ad Adrienne, bella, ingenua e piena di speranza, che va alla deriva senza colpa, solo perché si innamora di Julian e ha una relazione con lui. È il caso, soltanto il caso a unire in una danza macabra di dolore e di morte queste quattro persone, quattro ragazzi come tanti; e la tragedia è tanto più difficile da accettare quanto più risulta evidente che non esiste una chiara, indubitabile responsabilità da imputare a qualcuno.
A partire dall’accanimento di Chieveley verso Jake, che nasce da una semplice bugia, dalla vergogna di Jake a rivelare il suo anonimo cognome in un istituto “in cui tutti si chiamano Deveraux o Knox-Cartwright”, fino alla vendicativa beffa ideata da Maggie (cui solo Julian si oppone) per rimettere le cose a posto e “fare giustizia”, questi giovani, che come tutti i giovani si sentono padroni delle proprie esistenze, non sono che vittime, bersagli di un disegno irrazionale e imperscrutabile. Quello della vita.
Pur senza essere un capolavoro, Noi è senza dubbio un romanzo riuscito; è un’opera emozionante, delicata e dolente, un viaggio condotto con talento ed eleganza sulla tragicomica giostra del caso, che tutti ospita. Eccovi l’incipit, buona lettura.
È successo perché ho portato la classe in visita alla National Gallery. La settimana scorsa, per un momento, quest’idea peregrina mi era sembrata buona: verso la fine del semestre i ragazzi dovrebbero uscire da scuola, andare a vedere qualcosa che esuli dai soliti scenari proposti nei cinema. Pensavo potessero apprezzare l’enorme ritratto di Carlo I a cavallo – quello all’ingresso, di Van Dyck, se non sbaglio – a conclusivo corredo delle lezioni su Guerra civile e Restaurazione.
L’ha ribloggato su l'eta' della innocenza.
Non un capolavoro, ma una scrittura ipnotica (mi ricordo di aver letto il primo libro di Mason all’età di 15 anni e di esserne rimasta sorpresa piacevolmente!)
Concordo. La prosa di Mason coinvolge.