Recensione di “Solaris” di Stanislaw Lem
“Lem, che professionalmente fu un esperto di intelligenza artificiale e insegnante di Cibernetica, è stato il massimo rappresentante di una fantascienza filosofica, poco interessata agli effetti speciali. Considerava i suoi colleghi americani troppo trash e ignoranti in campo tecnologico. Con l’eccezione di Philip K. Dick […]. Con la metà degli anni Sessanta, Lem iniziò a pensare che la fantascienza mettesse piuttosto in luce i limiti della conoscenza umana, mostrandola spesso come una «vana zavorra» per scienziati e astronauti.
Un genere letterario che è una specie di pietra di paragone delle fragili capacità umane, rese ancora più fragili dalla separazione tra cultura umanistica e cultura scientifica: il frutto avvelenato di una decadenza culturale che comincia, in Occidente, nel XIX secolo. Invece, per gli antichi, per gli uomini rinascimentali, per gli artefici dell’Enciclopedia, la cultura era una sola: i pittori erano scienziati; i filosofi biologi; i matematici poeti; gli architetti scrittori. La forza del sapere sta infatti nella capacità di connettere e tenere assieme tutte le conoscenze, senza divisioni disciplinari né ideologiche campagne contro la scienza in nome delle ragioni del cuore e della metafisica”. Nella postfazione all’edizione italiana di Solaris (Sellerio Editore), capolavoro dello scrittore polacco Stanislaw Lem, Francesco M. Cataluccio sottolinea quanto il tema centrale di questo romanzo ne trascenda il magistrale impianto narrativo e si collochi in tutti quei momenti (che dell’opera sono la sostanza) nei quali il racconto appare come sospeso, messo tra parentesi, verrebbe quasi da dire dimenticato. La fantascienza, intesa come genere, come scelta, come adozione di un ben preciso canone (non solo stilistico), nel lavoro di Lem è uno sfondo, una quinta teatrale, un ambiente, uno spazio necessario agli attori per muoversi e agire; è insomma lo specchio di ciò che è l’inesplicabile e suggestivo pianeta Solaris per i protagonisti del libro, tre scienziati terrestri impegnati in una missione (l’ennesima) di studio e raccolta di dati e informazioni.
Dal punto di vista letterario, dunque, Solaris è molto più di un’opera sui generis, e sarebbe un errore giudicarla semplicemente in base alla sua originalità, alla sua evidente diversità. Perché Solaris, in ultima analisi, altro non è se non un enigma, un mistero, un quesito che ossessivamente torna a porsi e per il quale, forse, non è possibile trovare nessuna risposta che sia realmente soddisfacente. E la domanda, anzi le domande (le molte, moltissime domande che sorgono da quella fondamentale, relativa alle “nostre fragili capacità”) che Lem con impressionante chiarezza pone tanto a se stesso quanto ai lettori sono le seguenti: che cosa davvero siamo in grado di conoscere? Quali sono i limiti del nostro sapere? E come possiamo (sempre che si possa) superarli? È possibile per l’uomo comprendere qualcosa – una qualsiasi cosa, la realtà di un pianeta, la più piccola forma di vita, l’esistenza di un colore che non abiti lo spettro visibile, quella di una materia che non possa essere percepita e identificata dai sensi – che esista oltre i confini della sua ragione e della sua immaginazione? Quanto lontano possono spingersi le ipotesi prima di evaporare nell’inverosimiglianza, di appassire in un fantasticare in nulla diverso da quello dei bambini? Esiste, e se è se esiste è raggiungibile dall’uomo, dalla sua psiche e dal suo cervello, dal suo equilibrio fisico-chimico, dagli slanci improvvisi della sua intuizione, dall’applicazione severa dei suoi studi, dal suo sperimentare, dalle ferree concatenazioni della sua logica, un luogo in cui realtà e possibilità possano non solo incontrarsi ma mescolarsi, contaminarsi, divenire, mutare in qualcosa di ancora diverso, in altro?
Pagina dopo pagina, i tre scienziati alloggiati nella stazione di ricerca costruita su Solaris – Kelvin, l’ultimo arrivato, Snaut e Sartorius – si trovano ad affrontare non solo la recente morte di un altro loro collega, suicidatosi, ma l’inestricabile mistero rappresentato da quel mondo alieno, un pianeta quasi interamente ricoperto da qualcosa di molto simile a un oceano che a intervalli irregolari, forse in risposta a “stimoli” che gli giungono dagli apparecchi e dai dispositivi umani, o forse per il semplice fatto di pensare, fa emergere dalle proprie profondità gigantesche, immense costruzioni che innumerevoli, goffi tentativi di spiegazione hanno rubricato con nomi “umanoidi” quali “mimoidi”, “simmetriadi” e “asimettriadi” senza che quei suoni apparentemente razionali permettessero di fare un qualunque passo in avanti nella comprensione dei fenomeni osservati, e soprattutto interagisce con gli uomini (o cerca di farlo) materializzando accanto ai ricercatori copie esatte (o proiezioni mentali “incarnate”) di persone che hanno rivestito un ruolo importante nelle loro vite.
Ed è nel rapporto, conflittuale, tormentato, tragico e (ed è quel che più conta) ineludibile con queste “copie”, con questi esseri che non possono essere distrutti nello stesso modo in cui non possono venire compresi, che esistono senza essere nati, avendo e non avendo coscienza di quel che sono stati e che sono, avendo e non avendo memoria di ciò che hanno rappresentato e vissuto, comportandosi loro malgrado come simbionti o parassiti di coloro che inconsapevolmente li hanno evocati giungendo su Solaris, che l’essere umano mette alla prova se stesso. A un tempo entusiasmante scoperta e tragico scacco, Solaris è stato studiato e analizzato sotto tutti i punti di vista, e nel corso di decenni la sua semplice presenza, la sua impenetrabilità, ha dato vita a una letteratura sterminata e inconcludente. Perché la “soluzione” del problema Solaris, sempre che una soluzione ci sia, può trovarsi solo nel suo sterminato e silenzioso oceano e nelle creature che forma; creature, scrive ancora Cataluccio riprendendo alcune conclusioni cui nel romanzo è giunto Kelvin, fatte di “neutrini pensanti che prendono la forma dei nostri incubi e desideri […]. L’oceano di neutrini, che interagisce con la psiche umana, può essere spiegato solo con una visione spregiudicata delle leggi fisiche, associata a una profonda conoscenza delle dinamiche della psiche singola e collettiva, proprio ciò che auspicava il fisico austriaco Wolfgang Ernst Pauli […]. Il neutrino è una particella elementare di massa piccolissima e priva di carica elettrica […]. Nel 1927, Pauli […] cadde preda dell’alcolismo e di una profonda depressione. Nel 1931 […] si rivolse al dottor Carl Gustav Jung […]. Tra il padre della psicologia analitica e il fisico teorico nacque […] una reciproca collaborazione […] della quale sono testimonianza un ricco epistolario e vari scritti, dai quali si comprende quanto i due si influenzarono a vicenda. In particolare sul tema, attinente anche a Solaris, della sincronicità. Jung […] spiega che la sincronicità è un principio per cui un certo evento psichico trova un parallelo in qualche evento esterno non psichico, pur non esistendo tra i due fatti alcun nesso causale, ma solo un parallelismo di significato […]. Pauli riuscì […] a traslare questo concetto […] in qualche cosa di perfettamente dimostrabile tramite la fisica quantistica e il suo principio di esclusione [che spiega] come nulla sia casuale ma che tutto attorno a noi sia sempre significativamente connesso, anche se da fili invisibili”.
Romanzo-capolavoro, Solaris è un’opera che si legge d’un fiato, è una vertiginosa, indimenticabile avventura, è un viaggio fino alle radici ultime di ciò che siamo. Un viaggio dal quale non c’è ritorno ma che non possiamo rifiutarci di intraprendere.
Eccovi l’incipit. La traduzione è di Vera Verdiani. Buona lettura.
Alle diciannove, ora di bordo, mi feci strada tra gli uomini schierati intorno al pozzo e lungo i gradini metallici mi calai nell’abitacolo. C’era appena lo spazio per sollevare i gomiti.