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Di nuovo a Roma

Recensione di “Se ricordi il mio nome” di Carla Vistarini

Carla Vistarini, Se ricordi il mio nome, Corbaccio

Un paradiso tropicale e fondi praticamente illimitati cui attingere per i propri bisogni possono tenere a bada le preoccupazioni ma contro solitudine e nostalgia si rivelano armi spuntate, soprattutto se quel che manca, se ciò verso cui il pensiero incessantemente torna è il viso dolce di una bambina incontrata per caso, la cui vita, anche se per un brevissimo periodo di tempo, è diventata una cosa unica con la tua.


Così non sorprende trovare nuovamente Smilzo, l’analista finanziario caduto in disgrazia e trasformatosi dapprima in un senzatetto qualunque e poi in eroe nel bel romanzo d’esordio di Carla Vistarini intitolato Se ho paura prendimi per mano (recensito qui), alle prese con sentimenti che non riesce in alcun modo a governare ma che, pur nella lancinante sofferenza che gli causano, hanno il merito di farlo sentire vivo e ancora importante (almeno per qualcuno, almeno per la “sua” adorata piccolina), nel nuovo lavoro della scrittrice, autrice e sceneggiatrice italiana: Se ricordi il mio nome.

In quello che è, a tutti gli effetti, il seguito della storia narrata nel primo romanzo, Carla Vistarini riannoda tutti i fili mescolando sapientemente leggerezza, ironia e azione; rispetto a quanto già accaduto la situazione non pare granché mutata, eppure in qualche modo tutto è differente. In primo luogo perché l’autentica protagonista di entrambi i libri, la bambina (costantemente in pericolo di vita a causa dell’avidità degli adulti e della loro totale mancanza di scrupoli), è cresciuta (ha solo un anno in più, in realtà, ed è ancora decisa a non parlare a nessuno e a lasciare che a esprimere il suo diffidente disprezzo per il mondo, dal quale restano esclusi soltanto la mamma e Smilzo, “l’uomo buono”, sia il suo balbettante e quasi onomatopeico “andate a quel paese!”), ed è decisamente più combattiva di quanto chi intende farle del male sia disposto a credere, poi perché il complotto nel quale si trova invischiata è allo stesso tempo più semplice, più diretto e più letale di quello naufragato nel libro precedente, e infine e soprattutto perché Smilzo non è fisicamente accanto alla sua piccola meraviglia.

Non a caso, è proprio da qui, dalla lontananza fisica (che non è nulla se rapportata a quanto un sentimento, quando è sincero, riesca a farci sentire prossimi coloro che amiamo, che a qualsiasi titolo sono importanti per noi) che si sviluppa la trama di Se ricordi il mio nome; in un gioco di cerchi concentrici nel quale a mutare di continuo sono le prospettive e i personaggi coinvolti (assieme a Smilzo, alla bambina, alla sua mamma e all’avvocato che ne cura gli interessi e che intende sposarla per mettere le mani sul suo immenso patrimonio, il commissario di polizia Curreri e il suo vice Micci, tanto colto, preparato e disinvolto quanto il suo superiore è impacciato, goffo e afflitto da un’ignoranza decisamente ingombrante, don Pietro e la sua scombinata comunità di senzatetto, e, non ultimo, uno sbandato con ambizioni d’artista, per soddisfare le quali sembra disposto a compiere qualsiasi nefandezza), Carla Vistarini  dà vita a un puzzle che pagina dopo pagina coinvolge, diverte, commuove. Sorretto da una narrazione lieve, scorrevolissima e nonostante ciò mai banale, che si interroga su temi di primaria importanza (il senso della lealtà, l’importanza dei legami, di ciò che unisce davvero gli uni agli altri, la cui sostanza, la cui essenza, sta in ciò che si fa, nella concretezza delle azioni, nel coraggio delle scelte, nell’abbandono di ogni calcolo di opportunità, perfino di ogni precauzione, di ogni cautela, e ancora il valore della solidarietà e dell’amicizia) l’intreccio procede spedito verso il climax drammatico e infine verso la conclusione, verso un lieto fine che, malgrado si indovini già dal principio, non ha nulla di scontato (e, ulteriore valore aggiunto, non chiude definitivamente il discorso).

Pur essendo del tutto autonomo rispetto al precedente lavoro,  Se ricordi il mio nome sembra offrire qualcosa di più (un pizzico di emozione in più, qualche sorriso in più, una lacrima perfino…) se letto dopo Se ho paura prendimi per mano; non tanto perché i due libri sono strettamente legati dal punto di vista tematico quanto per il fatto che l’atmosfera unica, particolarissima, che l’autrice è riuscita a creare ha dato più di una semplice “vita letteraria” a Smilzo, alla bambina, e a tutti gli altri attori (compresa la città di Roma, ritratta, nei suoi splendori come nelle sue miserie, con cristallino affetto), con il risultato che ritrovarli regala al lettore un brivido di felicità, lo stesso che si prova quando si ritrovano dei vecchi amici.

Eccovi l’incipit (il romanzo, come il precedente, è edito da Corbaccio). Buona lettura.

Correva e correva. Le spine e i cespugli la ferivano alle gambe e alle braccia, mentre a ogni passo si immergeva in quel nero profondo da cui temeva ogni volta di non riemergere più. Poi una radura e di nuovo la tenebra.

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