Recensione di “La sottile linea rossa” di James Jones
“Bell giaceva col viso contro la roccia, rivolto a Witt. Witt era disteso con la testa girata. In silenzio, nell’afa ronzante d’insetti, senza muoversi si scambiarono un’occhiata […]. Qual era il potere che decideva che un uomo fosse ferito, o ucciso, in luogo di un altro? […]. Qui non c’era nessuna parvenza di significato. E le emozioni erano tante e così confuse da riuscire indecifrabili, non si potevano sbrogliare. Nulla era stato deciso, nessuno aveva imparato niente. Ma, cosa più importante di tutte, nulla sarebbe finito. Anche se avessero catturato l’intera catena, nulla sarebbe finito.
Perché l’indomani, o il giorno seguente, o ancora il giorno dopo, sarebbero stati chiamati a rifare la stessa cosa, forse in circostanze ancora peggiori. Il concetto era così schiacciante, così inoppugnabile, da lasciarlo scosso […]. Lo lasciò tramortito. Un giorno sarebbe finita, come no, e quasi certamente a causa della produzione industriale, sarebbe finita con la vittoria. Ma quel punto nel tempo non aveva alcuna relazione con nessuno degli individui impegnati oggi. Alcuni uomini sarebbero sopravvissuti, ma nessun individuo poteva sopravvivere. C’era una discrepanza fra i sistemi di calcolo. Tutta la faccenda era troppo vasta, troppo complicata, troppo tecnologica perché un individuo vi avesse qualche importanza. Contavano solo i gruppi di uomini, le continuità di uomini, solo le quantità di uomini. Il peso di una simile proposizione era schiacciante, troppo grande per essere sostenuto”. Alla guerra, sconvolgente “fenomeno di massa”, tragedia e incubo collettivo che cancella ogni singolarità e finisce per trasformare l’uomo in una generalità astratta, in un plotone, una compagnia, una divisione; in un indistinto insieme addestrato alla meccanica obbedienza, all’automatica risposta a uno stimolo, a un comando, a un ordine – Fuoco! All’attacco! Ritirarsi! Ripiegare! Formare una linea! Un cuneo! Fuoco di copertura per coprire l’assalto! – James Jones, nel bellissimo romanzo La sottile linea rossa, in Italia pubblicato da Neri Pozza nella traduzione di Vincenzo Mantovani, contrappone la coscienza dei soldati (un gruppo di uomini della compagnia C-come Charlie), il formicolare dei loro pensieri, il torrenziale scrosciare delle emozioni, l’altalena impazzita che li porta dal terrore all’esaltazione per sprofondarli di nuovo nella paura (e nella vergogna che questo sentimento oscuro e ineliminabile porta con sé) e costringerli, a un passo dalla morte, a chiedersi cosa davvero sia la vita, cosa significhi essere vivi, quale significato, quale senso esali da ogni respiro, da ogni battito di ciglia.
Jones, che fu soldato nell’esercito americano (25ª Divisione Fanteria) e prese parte alla battaglia di Guadalcanal, che vide contrapporsi statunitensi e giapponesi, racconta quello scampolo di inferno in terra, quel momento del secondo conflitto mondiale (siamo nel 1942) incarnandosi nei suoi commilitoni, in questi uomini cancellati dalla divisa, il cui passato non è che memoria, e rimpianto, e salvezza perduta. Nella complessità rigogliosa e primitiva di una natura indifferente alle umane tribolazioni, e che i soldati sperimentano quasi solo come sacrificio, dolore e umiliazione (il caldo eccessivo, l’abbraccio rude della terra, la polvere che vela gli occhi e impedisce il respiro, le improvvise, violentissime parentesi di pioggia, contro le quali è impossibile combattere), quel che resta dell’umanità di questa gente, chiamata a uccidere i propri simili, ad annientarli, e soprattutto a conoscere se stessa nel modo più brutale, arde in un interrogarsi continuo e affannoso, in una ricerca filosofica ed esistenziale degenerata in lucida follia, in un delirio da febbre malarica dell’intelligenza e della volontà.
Chi sono io? Che cosa sono veramente? si chiedono senza sosta i personaggi del romanzo di Jones senza mai riuscire a venire a capo di questo lacerante dilemma; e mentre la sola ragione possibile della guerra brilla nel pensiero ossessivo dell’enigmatico maresciallo Welsh, per il quale qualsiasi cosa si faccia ha la sua giustificazione nella difesa della proprietà e di ciò che rappresenta, gli altri brancolano come ciechi (con il nemico invisibile, nascosto nel folto della giungla, in attesa al riparo di un costone, sistemato in un caposaldo sulla sommità di una collina, che è trasparente metafora di questo corto circuito dei sensi e ancor di più dell’anima) tra uno scontro e l’altro, meravigliandosi di restare vivi, imprecando verso la morte che in un istante è calata di loro, sorprendendosi per un coraggio che non credevano di possedere, invidiandosi l’un l’altro gli atti di eroismo compiuti, e amando e odiando con ostinazione, con caparbietà, nell’illusione che la guerra, la sua essenza, il suo essere ovunque e al di là del tempo, sia, al pari di coloro che la interpretano, imperfetta, e finalmente mortale.
Eccovi l’incipit. Buona lettura.
Le due navi da trasporto erano salite piano piano dal Sud alle prime grigie luci dell’alba, solcando dolcemente con la loro massa ingombrante l’acqua del mare, grigie come l’alba che le mimetizzava..