Recensione di “La scomparsa di Josef Mengele” di Olivier Guez
Una salvezza ottenuta nell’anonimato, anzi peggio, un naufragio evitato grazie a una menzogna, all’umiliazione di una falsa identità, alla vergogna di un passato inventato al solo fine di coprire trascorsi reali, anni vissuti nella gloria, nell’ebrezza di un’onnipotenza quasi divina, nella realizzazione di un destino grandioso: essere il padre di una nuova razza, la razza perfetta dei dominatori del mondo. È l’estate del 1949, e quel che resta dell’ingegnere genetico Josef Mengele, giunto assieme a migliaia d’altri reietti in Argentina dopo il collasso del regime hitleriano, è un documento della Croce Rossa Internazionale a nome di Helmut Gregor.
Comincia così, con i sogni infranti di un uomo che forse più di qualsiasi altro (se si esclude il führer Adolf Hitler) ha incarnato il delirio genocida del Terzo Reich, La scomparsa di Josef Mengele di Olivier Guez (in Italia pubblicato da Neri Pozza nella traduzione di Margherita Botto), romanzo che supera i confini della semplice biografia per calarsi, più che nel mistero di una fuga, in una sorta di resoconto politico, nella fotografia di un “mondo alla rovescia” che il secondo conflitto ha forse irrimediabilmente distrutto, minato nelle fondamenta, consumato nello stesso modo in cui un cancro consuma un corpo. In questo quadro, Guez, pur senza quasi mai spostare il fuoco della sua attenzione dal singolo cui l’opera è intitolata, riduce Mengele a nient’altro che un’insignificante pedina di un gioco ben più grande, un gioco che l’Argentina peronista si illude di poter condurre.
Affascinato in egual misura dalle dittature che hanno portato alla rovina Italia e Germania – “un leader investito dalla Provvidenza può salvare una nazione e mandare in frantumi il continuum della Storia” – Perón “elabora una personalissima visione della guerra che infuria. Poiché l’Italia fascista e la Germania nazista offrono un’alternativa al comunismo e al capitalismo, gli Stati Uniti e l’Urss si sono alleati per combattere l’emergere di questa terza forza, l’Asse, a suo avviso il primo blocco di potenze non allineate.
Una volta sconfitte l’Italia e la Germania Perón riuscirà là dove Mussolini e Hitler hanno fallito: i sovietici e gli americani non tarderanno ad annientarsi a colpi di bombe atomiche. Forse il vincitore della terza guerra mondiale sta in attesa agli antipodi, l’Argentina ha una carta formidabile da giocare. Allora, aspettando che la guerra fredda degeneri, Perón diventa il grande straccivendolo. Fruga nelle pattumiere d’Europa, intraprende una gigantesca operazione di riciclaggio: governerà la storia con la spazzatura della storia. Apre le porte del paese a migliaia e migliaia di nazisti, fascisti e collaborazionisti; soldati, ingegneri, scienziati, tecnici e medici; criminali di guerra invitati a dotare l’Argentina di dighe, missili e centrali nucleari, a trasformarla in una superpotenza […]. Alla fine degli Anni Quaranta Buenos Aires è diventata la capitale della feccia dell’ordine nero decaduto. Vi si incontrano nazisti, ustascia croati, ultranazionalisti serbi, fascisti italiani, Croci frecciate ungheresi, legionari rumeni della Guardia di ferro, vichisti francesi, rexisti belgi, falangisti spagnoli, cattolici integralisti; assassini, torturatori e avventurieri: un Quarto Reich fantasma”.
Certo, Guez insiste con un certo compiacimento nella sua descrizione di un Mengele insignificante, di un ex potente ridotto a essere solo uno dei tanti, ossessionato dal continuo confronto tra la sua “vita autentica” (gli anni gloriosi del Reich che aveva sottomesso l’Europa e non pareva avere rivali) e i dolorosissimi compromessi che viene costretto ad accettare per evitare la cattura, la prigione e una più che probabile condanna a morte; certo, la sua penna non è neutrale (né ci si aspetta che lo sia) e infierisce senza pietà su questa figura un tempo così terribile e oggi spogliata di qualsiasi dignità, vittima tanto del proprio terrore, di una codardia che il Reich non avrebbe tollerato (e che Mengele forse non avrebbe mai sospettato di poter provare), quanto di una totale incapacità di lasciarsi alle spalle il passato, ma la sua non è “vendetta”, né una “rivincita” (e del resto, che senso avrebbe scrivere un romanzo a questo scopo?); con il suo libro Oliver Guez non rivolge un’arma contro Mengele ma racconta dei fatti, ricostruisce una storia, una trama all’interno della quale i singoli non sono che tessere di un puzzle, strumenti utili all’insieme ma del tutto superflui considerati di per sé, e nel far questo illumina la tragedia sfiorata di un “domani possibile”.
Nel narrare il progressivo inabissarsi di Mengele, la cui fuga dai nemici diviene ben presto delirante fuga da se stesso, lo scrittore francese illustra il parallelo incubo del disegno peronista, un disegno che, se muore al morire dei suoi ideatori e al venir meno delle condizioni geopolitiche che gli hanno consentito di germogliare, purtroppo non scompare mai del tutto, perché il suo primo alimento è nella follia degli uomini, attori di tutto ciò che domani sarà storia.
Eccovi l’incipit. Buona lettura.
La North King fende l’acqua melmosa del fiume. Dall’alba i passeggeri, saliti sul ponte, scrutano in lontananza, e ora che sbucano dalla nebbia le gru dei cantieri navali e la linea rossa dei magazzini del porto i tedeschi intonano una canzone militare, gli italiani si fanno il segno della croce e gli ebrei pregano, nonostante la pioviggine, le coppie si baciano, il bastimento arriva a Buenos Aires dopo tre settimane di traversata. Da solo, al parapetto, Helmut Gregor rimugina.
L’ha ribloggato su l'eta' della innocenza.
Molto interessante, Paolo, grazie: lo cerco.
Grazie a te. Buona lettura.