Recensione di “Amatissima Poona” di Karin Fossum
Un uomo che desidera amare ed essere amato ma che dei suoi sentimenti, che non conosce, e di cui non ha mai fatto davvero esperienza, ha quasi paura. Un uomo che sogna, immagina, fantastica, e che un giorno, trascinato da una forza che sente quasi come estranea ma che pure, in qualche modo, proviene da lui, da quel che prova, riesce a dare concretezza, a tramutare in realtà, ciò che ha sempre voluto, e si ritrova catapultato da un anonimo paesino norvegese al caotico arcobaleno di colori, suoni e umanità di una megalopoli indiana: Bombay.
Qui quest’uomo, quasi avesse avuto un appuntamento con il destino, senza difficoltà alcuna conosce una donna, se ne innamora, ricambiato, e decide di sposarla. Per la coppia appena nata, la cerimonia nuziale in India non è che il primo passo di una nuova vita che si annuncia colma di felicità; la strada è già tracciata e non rimane che percorrerla: l’uomo, che si chiama Gunder, tornerà per primo in Norvegia, e una volta giunto a casa preparerà ogni cosa per l’arrivo della moglie, l’amata, amatissima Poona. Rivelerà alla sorella, sua unica parente, che si è sposato, e poco alla volta, passo dopo passo, la presenterà agli altri abitanti del luogo, un pugno di anime, volti noti, una comunità tranquilla, amichevole, solidale, che, Gunder ne è certo, gioirà con lui, con lui e con Poona, per il matrimonio, e accoglierà la donna come un dono, l’aiuterà a integrarsi, le darà una mano con la lingua, con usanze che lei non conosce, e in men che non si dica la farà sentire perfettamente a suo agio. Per Poona, Gunder lo sa, è il suo cuore a dirglielo, sarà come essere nata lì. Allo stesso tempo antefatto e cuore del romanzo Amatissima Poona di Karin Fossum, questa tenera, delicatissima e tragica storia d’amore – che si interrompe prima ancora di iniziare nel momento in cui Poona, atterrata in Norvegia, non trova ad attenderla all’aeroporto il marito, costretto a correre in ospedale a causa di un grave incidente d’auto occorso alla sorella, finita in coma, si smarrisce nel tentativo di raggiungere casa sua e va incontro a una morte orribile – si apre all’analisi di inquietanti profili psicologici.
Ancora una volta protagonista dell’inchiesta che deve provare a fare luce sull’orribile delitto che ha sconvolto la piccola comunità e letteralmente distrutto Gunder, la cui esistenza, nel giro di un momento, si è ridotta a nulla, è il cauto, riflessivo e tenace ispettore Sejer (già incontrato in altri splendidi lavori della grande giallista norvegese; La ragazza del lago, la cui recensione trovate qui; Al lupo, al lupo, recensito qui, e Cattive intenzioni, recensito qui), il quale si trova ad affrontare forse il più difficile dei compiti: stabilire un punto di contatto con un mondo chiuso, diffidente, gelido, che appare innocuo, perfino innocente, solo se osservato da lontano, solo se non infastidito, solo se non provocato. E un assassinio, per di più di una donna indiana, arrivata in quell’angolo di mondo da migliaia di chilometri di distanza all’insaputa di tutti, è, agli occhi degli abitanti del villaggio, nessuno escluso, la peggiore delle provocazioni, il più osceno degli insulti, perché scardina regole condivise e segrete, che la polizia ha il diritto e il dovere di scoprire, conoscere e, quel che è peggio, giudicare, e perché mette in discussione un equilibrato sistema di valori, poco importa se giusto o sbagliato, di nuovo esposto al freddo vaglio di chi amministra la legge, di chi è chiamato a trovare il colpevole, l’omicida. Ma un evento così atroce e straordinario può non essere solo qualcosa di negativo; per qualcuno, magari per una ragazza giovane ed esuberante che si sente schiacciata da questo grappolo di strade e case che conosce a memoria e da coloro che le attraversano e le abitano, le cui chiacchiere conosce altrettanto bene, un fatto di sangue così orrendo (la vittima è stata assalita e percossa con talmente tanta ferocia da risultare irriconoscibile), sul quale forse è in possesso di qualche informazione utile, potrebbe essere un’occasione, un’opportunità da cogliere al volo per uscire dall’anonimato, per imporsi all’attenzione degli altri, per ottenere un successo personale, e da questo primo passo, chissà, spiccare il volo….
E allora ecco che un giallo magistralmente condotto pagina dopo pagina, pur senza cessare di essere ciò che è assume sempre più i tratti del dramma; ecco che il mistero di una morte tanto violenta quanto assurda passa in secondo piano rispetto al contesto nel quale si è verificata; Sejer, alla ricerca del responsabile, finisce per perdersi in una fitta trama di oscurità, in un gioco di ombre che altro non sono se non il disordinato insieme di ossessioni, paure, voglie e insicurezze che ogni persona di quel posto (e dunque, in qualche modo, ogni persona a qualsiasi latitudine) coltiva e nutre. Inseguendo la sola verità che conti in un caso di omicidio, il bravo ispettore si ritrova sotto scacco, prigioniero di un labirinto inestricabile di verità parziali, anguste, insufficienti. A ciascuna di esse, inevitabilmente, egli si aggrappa con tutte le forze, nella convinzione che giustizia a tutti costi significhi autentica giustizia e non pietosa bugia utile solo ad addormentare la coscienza. Ma anche Sejer, in fondo, ci rammenta Karin Fossum, non è che un uomo.
Eccovi l’inizio del romanzo. La traduzione, per Frassinelli, è di Pierina M. Marocco. Buona lettura.
Il silenzio è lacerato dai latrati del cane. La madre alza gli occhi dal lavello e guarda dalla finestra. L’animale sta abbaiando dal profondo della gola; tutto il suo corpo nero e muscoloso vibra di eccitazione. Ma ecco che arriva il ragazzo.