Recensione di “Racconti 1927-1930” di Howard Phillips Lovecraft
“Che Lovecraft sia soprattutto un sognatore è cosa che nessuno vorrà mettere in dubbio, anche alla luce della sua produzione; ma è di quelli che posseggono l’invidiabile capacità di gettare un ponte tra il mondo dei sogni e quello della veglia, finché poco a poco l’uno trascolora nell’altro in un amalgama originalissimo.
Fin dall’infanzia la notte gli porta alcune immagini ricorrenti: enormi altopiani deserti sui quali giganteggiano colossali rovine; abissi senza fondo che si spalancano su altre sfere di realtà; celle e corridoi sotterranei che si snodano sotto le fondamenta di edifici familiari, mettendo in comunicazione il mondo della superficie con un netherworld gravido di segreti; esseri mostruosi che riempiono, al tempo stesso, di meraviglia e terrore. Lovecraft confessa: ‘Se io mi siedo alla scrivania con l’intenzione di scrivere un racconto, è molto probabile che non ci riesca. Ma se scrivo per mettere sulla carta le immagini di un sogno, tutto cambia completamente’. Egli si sente posseduto, costretto dai sogni […]. Nasce così il mito di Cthulhu, che ruota intorno a una serie di entità spaventose non di questo spazio, ma i cui nomi sembrano sapientemente ricavati da un dizionario di mitologia anagrammata: Azathoth, Yog-Sothoth ‘il dio cieco e idiota che gorgoglia blasfemità al centro dell’universo’, Nyarlathotep messaggero dell’olimpo degenere e via dicendo […]. La controparte terrestre di questo ribollire di dei e demoni è rappresentata dagli Stati della Nuova Inghilterra, che Lovecraft vede segnati da colpe antiche e sotterranei connubi con le entità malefiche. A differenza dei grandi ossessi del New England (Hawthorne, in primo luogo) Lovecraft si compiace di quest’atmosfera corrotta e decadente, anzi ne calca le tinte: e siccome nessuna città umana, nemmeno la maledetta Salem, potrebbe esser degna degli orrori cosmici che gli è caro immaginare, ne inventa di nuove: Arkham, Innsmouth, Kingsport, Dunwich. Gli ultimi due son quasi villaggi, piccole comunità arretrate che esemplificano i guasti a cui può portare il sesso tra consanguinei e il commercio con entità malsane. Innsmouth è un caso a parte, una colonia di sanguemisto da far rizzare i capelli; Arkham, in cui alcuni vedono la trasfigurazione fantastica di Salem, è invece una città dotta e universitaria, al centro della valle del fiume Miskatonic e vero e proprio fulcro delle più inquietanti invenzioni lovecraftiane”. Nel disegnare la geografia fantastica (ma non per questo irreale) di Howard Phillips Lovecraft, Giuseppe Lippi, autore dell’introduzione al volume intitolato Tutti i racconti 1927-1930 (in Italia edito da Mondadori con traduzione, oltre che dello stesso Lippi, di Claudio De Nardi e Gianna Lonza), introduce il lettore a quelli che sono i temi cardine della narrativa di questo straordinario e originalissimo autore, prematuramente scomparso nel 1937 a soli quarantasette anni d’età, temi che, se da un lato senz’altro riconducono al romanzo gotico, dall’altro se ne discostano, svelando l’esistenza di nuovi confini letterari.
Perché il mistero, che è sempre tutt’uno con l’orrore nei racconti di Lovecraft, e ancor più nei suoi romanzi brevi (è il caso, per esempio, de Il caso di Charles Dexter Ward, tra i capolavori dello scrittore americano) si radica a tal punto nell’inconoscibile – inteso non tanto come ciò che non si deve conoscere ma come ciò che non può essere conosciuto, o che in ogni caso è impossibile apprendere fino in fondo per il semplice fatto che non è parte del nostro mondo, che ci è estraneo – è così legato al non umano, o per dire con esattezza ancora maggiore all’antiumano, da rivelarsi frutto non solo di follia ma di autentica perversione. Gli splendidi, travolgenti scenari d’incubo che Lovecraft dipinge hanno il sapore delle parabole, rimandano, non importa quanto tortuosamente, agli scritti d’edificazione, si fanno memento verso tutti coloro che lungo la strada dell’erudizione o della curiosità innocente (che forse innocente non è mai del tutto) smarriscono se stessi e, dimentichi della propria finitezza, si lasciano sedurre dal cupo assoluto dell’abisso, che ha le terrificanti fattezze di un innominabile male cosmico. Non a caso, a questa malvagità perfetta, che Lovecraft si guarda bene dal mostrare, ma che, proprio come i medievali facevano con Dio, non cessa di descrivere per negazione, i soli a opporsi sono uomini di scienza, uomini che sono stati capaci di percorrere la via retta del sapere, che dell’altro da sé, anzi dell’opposto a sé, hanno intuito non solo l’esistenza, ma soprattutto la mortale pericolosità.
Non si vuol dire con questo, naturalmente, che Lovecraft sia uno scrittore etico, un moralista, ma solo che le sue opere (e alcune più di altre, a partire proprio dal già citato gioiello Il caso di Charles Dexter Ward, ma merita una citazione, per quel che riguarda questo volume, anche Colui che sussurrava nelle tenebre), ricche e complesse come i mondi di cui raccontano, non andrebbero lette solo come racconti fantastici dell’orrore.
Eccovi l’incipit di Il caso di Charles Dexter Ward. Buona lettura.
Da una clinica privata per malattie nervose nei dintorni di Providence, Rhode Island, è scomparso di recente un paziente piuttosto singolare.