Recensione di “Caratteri” di Teofrasto
“L’attività di Teofrasto fu volta essenzialmente al consolidamento del grandioso piano di sistemazione dello scibile, promosso da Aristotele. L’enorme catalogo delle sue opere conta ben 229 titoli, che comprendono studi di storia naturale, di politica, di etica, di psicologia, di teoria letteraria, di polemica contro le scuole rivali […]. Di esse, comunque, la gran maggioranza è costituita da pubblicazioni scientifiche, riguardanti soprattutto la botanica, la zoologia e la mineralogia.
Questa produzione si è perduta quasi tutta; ci rimangono due studi di botanica […] e un’operetta gradevolissima, ma di ardua classificazione: i Caratteri […]. Essa consiste in una rassegna di tipi umani, ciascuno dei quali dominato da un particolare difetto di comportamento, non tanto grave da provocarne la messa al bando dalla società, ma sufficiente a renderne grottesca l’immagine. La lettura dell’operette provoca subito una sensazione di ambiguità. L’indice e le prime parole di ogni capitolo, infatti, si presentano con un aspetto razionale e rigoroso […]. Il numero tondo, 30, fa subito pensare a un’organicità di concezione; la struttura dei capitoli, sempre uguale a se stessa, possiede in apparenza il rigore del testo scientifico; così pure il ripetersi, quasi sistematico, di certe situazioni, che servono a illuminare di volta in volta i Caratteri. Tale sensazione di rigore, però, viene subito smentita a mano a mano che ci si addentra nella lettura: il tono, generalmente faceto, e spesso comico, richiama senza dubbio quello del teatro, e ciò che sembrava rigore di classificazione diventa ben presto nella mente del lettore una babele di atti sconvenienti, consumati da personaggi spesso simili fra di loro, in una scena urbana trasformata nel palcoscenico di un teatro delle maschere. In realtà, viene frustrato il desiderio di chi si lascia irretire dalle promesse di razionalità, che sembrano implicite nella struttura esteriore dell’operetta, e cerca di mettere a fuoco un ordine teorico che, a ben vedere, non esiste; nello stesso tempo, viene in parte frustrato il tentativo di leggere il testo come un’opera letteraria. Evidentemente, nessuna delle due letture è quella giusta”. Così, di fronte a un bivio che non ammette scelte di sorta, dal momento che si sa già che nessuna delle strade presentate è in grado di condurre a una meta, lascia il lettore dei Caratteri di Teofrasto, filosofo e botanico discepolo di Aristotele (e poi guida della sua scuola), Massimo Vilardo, il cui maggior merito nell’analisi di quest’opera, nel medesimo tempo affascinante e sfuggente, sta proprio nella sottolineatura della sua sostanziale inafferrabilità.
Cosa sono, in realtà, i Caratteri? E come si inquadrano nella produzione di Teofrasto? Come dobbiamo giudicarli? Suscitare domande simili, ci dice Vilardo, lungi dal denunciare l’oscurità di questo lavoro fornisce una preziosa chiave di lettura; l’autore, infatti, per quanto possibile non rinuncia all’ordine e alla sistematizzazione, cardini del suo pensiero, tuttavia, comprendendo che l’oggetto della sua ricerca e della sua speculazione (l’uomo e il suo agire in società) non può essere trattato come metodo scientifico, non esita a ricorrere ad altre soluzioni; ecco allora emergere tutto ciò che può essere utile a considerazioni di natura psicologica (nonché all’enunciazione di giudizi etico-morali spesso taglienti): uno stile semplice, immediato, che rimanda alla naturalezza del linguaggio parlato, una scelta di esempi che si ritrovano con facilità nel quotidiano – “l’incontentabilità consiste in una valutazione oltre il lecito negativa di quel che ci dà la vita: l’incontentabile dunque è un tipo che […] se la prende con Zeus non tanto perché piove, ma perché piove tardi [e] se trova per strada un borsellino dice: «Mai che trovi un tesoro, però!» […] il vigliacco è il tipo che durante un viaggio in mare, se vede un promontorio, geme: «Una nave pirata!»” – e più di tutto un’enfasi sul registro comico, nella convinzione che muovere al riso attraverso l’arguzia e l’intelligenza significhi educare al pensiero. E in questo Teofrasto si dimostra davvero maestro; mai infatti egli si lascia sedurre dal facile effetto che ottengono le gratuite volgarità, e al contrario veste ogni suo affondo d’eleganza, scegliendo, per contrasto, di rappresentare il comportamento più becero come segno distintivo del tipo umano preso in considerazione.
Il risultato? Una lettura piacevolissima, in più di un tratto apertamente spassosa e, al di là del mero accidente cronologico, per nulla distante dalla nostra tutt’altro che aurea modernità.
Eccovi le prime righe del proemio. Buona lettura.
Nel corso di lunghe riflessioni già da tempo è maturata in me una domanda, a cui forse non riuscirò a dare una risposta neanche in futuro, su una questione che mi riempie di meraviglia: per quale motivo noi Greci, che abitiamo un paese omogeneo per clima e cultura, non abbiamo in comune tutti quanti gli stessi costumi.