Recensione di “Piramide” di Henning Mankell
“Solo dopo aver scritto l’ottavo e ultimo romanzo della serie di Kurt Wallander ho capito quale sottotitolo avevo sempre cercato, senza mai trovarlo. Quando tutto era finito, o quasi, ho capito che il sottotitolo della serie doveva essere I romanzi dell’inquietudine svedese. Avrei dovuto trovarlo prima. Questi romanzi, in fondo, pur nella loro varietà, hanno sempre girato intorno a un unico tema: che cosa è successo negli anni novanta allo Stato di diritto?
Come può sopravvivere la democrazia se il fondamento dello Stato di diritto non è più intatto? La democrazia ha un prezzo che un giorno sarà considerato troppo alto e che non vale più la pena di pagare? Gli stessi interrogativi ricorrono in gran parte delle lettere che ho ricevuto […]. Ho ricevuto anche altre lettere che sottolineavano le incongruenze che i lettori scoprono compiaciuti […]. Ma in particolare, molte lettere ponevano la stessa domanda: che cosa faceva Wallander prima dell’inizio della serie? Per stabilire un momento preciso: cosa faceva prima dell’8 gennaio 1990? Quella mattina d’inverno, Wallander fu svegliato nel suo letto da una telefonata: e così iniziò Assassino senza volto […]. I lettori si sono posti delle domande. E, naturalmente, l’ho fatto anch’io […]. Alcuni anni fa […] mi sono reso conto che avevo iniziato a scrivere mentalmente dei racconti che si svolgevano prima che la serie iniziasse […]. Ora ho raccolto questi racconti […]. Nessun racconto sarà mai completo. Per me, in ogni caso, questi episodi fanno parte della serie di Wallander. Il resto è e rimarrà silenzio”. Con queste parole Henning Mankell introduce il lettore alla scoperta delle storie narrate nella raccolta intitolata Piramide (in Italia pubblicata da Feltrinelli nella traduzione di Giorgio Puleo), cinque vicende che prendono il via nel 1969, quando un giovanissimo Kurt Wallander, poliziotto di pattuglia animato da un gran desiderio di entrare a far parte della sezione investigativa, si trova quasi per caso coinvolto in un caso piuttosto complicato (il suicidio del suo vicino di casa, un anziano marinaio dal passato oscuro) e comincia a collaborare con l’esperto collega Hemberg, che poco alla volta diventerà il suo maestro, l’uomo dal quale Wallander imparerà tutto (o quasi) quel che c’è da sapere sui delitti. Per quanto in evoluzione, il personaggio di Wallander così come il pubblico si è abituato a conoscerlo nella serie di romanzi che lo vedono protagonista è già tutto qui, con i suoi pregi e i suoi difetti; con il suo spiccato istinto per l’indagine, una buona capacità organizzativa, il dono naturale (perché di null’altro si tratta) di saper comprendere quasi immediatamente se chi gli sta di fronte sia sincero o stia mentendo e i suoi tormenti di uomo, marito (poi divorziato), padre e figlio (di un artista dal carattere difficile, poco incline a manifestare i propri sentimenti) e la pericolosa tendenza – che fin dal primo racconto rischia di costargli la vita – ad agire da solo, pur sapendo che in situazione di pericolo ogni poliziotto ha l’obbligo di avere accanto a sé almeno un compagno.
Ma se Wallander è ben riconoscibile, è l’ambiente a cambiare rispetto a quel che emerge nei romanzi dell’inquietudine svedese. Se in quei libri, infatti, il tema è, come spiega lo stesso Mankell, la fragilità dello Stato di diritto, l’ipotesi, che si fa ogni momento più concreta, della sua sacrificabilità (in nome dell’ordine e della sicurezza), qui il fuoco dell’attenzione è diretto a una sorta di malessere – nello stesso tempo individuale e collettivo – che conduce a una sorta di dissociazione; da un lato gli svedesi, dall’altro un Paese che faticano sempre più a riconoscere come proprio, attraversato da un disagio senza nome i cui sintomi più evidenti sono emarginazione sociale e microcriminalità diffusa. Interdetto e spaventato da una realtà cui non riesce a prendere le misure, questo giovane Wallander in qualche modo ricorda l’anziano e sceriffo disilluso sceriffo Ed Tom Bell, voce vinta e indimenticabile del capolavoro di Cormac McCarthy Non è un paese per vecchi: in entrambi i casi, infatti, due uomini si vedono costretti a guardare in faccia il caos. Ma se è troppo tardi anche solo per sperare in qualche salvezza nel caso di Bell, per Wallander le cose stanno diversamente; egli, a differenza del vecchio sceriffo, ha il tempo di porsi domande, di riflettere, di comprendere in che cosa la stagione che gli è dato di vivere sia sbagliata e quale contributo possa dare per restituirle almeno in parte l’equilibrio compromesso. La sua Svezia, sporta verso il non essere, può ancora distogliere gli occhi dall’abisso.
Eccovi l’incipit del racconto che apre la raccolta, intitolato Il primo caso di Wallander. Buona lettura.
All’inizio tutto era solo nebbia. O forse una specie di mare denso dove tutto era bianco e silenzioso. Il paesaggio della morte.