Recensione di “Storia militare della seconda guerra mondiale” di Basil Henry Liddell Hart
“«Niente ha più successo del successo» è un famoso detto ispirato a un vecchio proverbio francese. Ma spesso la realtà dimostra, in un senso più profondo, che «niente ha più successo dell’insuccesso».
Movimenti religiosi e politici perseguitati e dispersi dall’autorità imperante sono spesso risorti, finendo anzi, a lungo andare, con l’acquistare il sopravvento grazie anche all’alone di martirio creatosi intorno ai loro primi capi. Il Cristo crocifisso si rivelò più potente del Cristo vivo, mentre numerosi e noti sono gli esempi di condottieri vittoriosi la cui fama è stata eclissata da quella dei condottieri da loro sconfitti: basti pensare ad Annibale, Napoleone, Robert E. Lee e, in tempi più vicini a noi, a Rommel. Anche nella storia delle nazioni si registra un fenomeno analogo, anche se meno evidente. Tutti conoscono il detto che in una guerra «gli inglesi vincono solo una battaglia: l’ultima». Esso esprime la loro caratteristica tendenza a partire con delle sconfitte e a finire con la vittoria. Si tratta di un’abitudine rischiosa, e anche costosa, eppure per ironia della sorte numerosi sono nella storia della Gran Bretagna i casi in cui l’esito finale vittorioso può essere fatto risalire proprio alle iniziali sconfitte subite dagli inglesi e dai loro alleati, sconfitte che suscitando nel nemico un’eccessiva fiducia nei propri mezzi finirono coll’indurlo a fare il passo più lungo della gamba […]. Fu in seguito al fallimento del primo tentativo di avanzata da Algeri su Tunisi compiuto dagli Alleati nel novembre del 1942 che Hitler e Mussolini si sentirono incoraggiati a far affluire un’ingente quantità di rinforzi nel Nord Africa, al di là del mare, dove sei mesi dopo gli Alleati riuscirono a intrappolare e a mettere nel carniere due intere armate dell’Asse, eliminando così il principale ostacolo al balzo che essi stessi si apprestavano a compiere attraverso il mare, dall’Africa nell’Europa meridionale. Il successivo esempio di fiasco che si rivelò foriero di sviluppi positivi fu l’invasione della stessa Italia. Dopo la rapida conquista della Sicilia e la caduta di Mussolini, il secondo e più breve balzo sulla penisola era apparso una faccenda relativamente facile. Le prospettive erano tanto più brillanti in quanto la capitolazione dell’Italia era stata concordata segretamente all’insaputa dei tedeschi, e si era riusciti a farne coincidere l’annuncio con il principale sbarco alleato […]. Eppure il feldmaresciallo Kesselring riuscì a tenere in scacco gli invasori per il tempo che gli fu necessario per disarmare gli italiani, e a bloccare poi le armate alleate lungo una linea distante circa 150 km da Roma […]. Eppure il lungo rinvio di quella conclusione che nel settembre del 1943 era sembrata così vicina ebbe importanti conseguenze positive per le prospettive alleate in generale. In un primo tempo Hitler aveva pensato di disimpegnare le sue forze dall’Italia meridionale per organizzare una solida linea di sbarramento più a nord. Ma l’imprevisto successo dell’azione difensiva di Kesselring indusse Hitler, nonostante il parere sfavorevole di Rommel, a riversare rinforzi sempre più ingenti nelll’Italia centro-meridionale con l’obiettivo di tenere la massima parte possibile del territorio italiano il più a lungo possibile. Questa decisione comportò l’impiego di risorse che ben presto gli sarebbero diventate indispensabili per fronteggiare la più grave minaccia della simultanea avanzata sulla Germania dei russi da est e degli Alleati occidentali dalla Normandia […]. Comunque, si deve tenere presente che nessuno lancia mai una grande spedizione militare nella speranza di conseguire un fallimento destinato a rivelarsi, alla lunga, vantaggioso. Non è nella natura umana desiderare e sforzarsi di ottenere un insuccesso: ragion per cui, vale la pena di analizzare perché nell’Italia meridionale le cose andarono come andarono”. La dinamica strategico-psicologica “successo-insuccesso” non è che una delle numerose chiavi di lettura offerte dal documentatissimo e corposo (quasi 1.000 pagine) saggio di Basil Henry Liddell Hart Storia militare della seconda guerra mondiale (in Italia pubblicata da Mondadori nella traduzione di Vittorio Ghinelli) nel quale, teatro per teatro – dalla travolgente occupazione tedesca dell’Europa nel 1940 alla disfatta sfiorata dall’Inghilterra; dal colpo di mano giapponese a Pearl Harbour, passo d’avvio della loro fulminea avanzata nel Pacifico alla guerra in Africa del nord, dove si distinte il genio tattico di Rommel, cui non arrise la fortuna e che finì per pagare un prezzo troppo alto a causa dell’arrogante miopia di Adolf Hitler e Benito Mussolini; dall’invasione nazista della Russia all’armistizio unilaterale siglato dall’Italia con gli Alleati fino al definitivo crollo della Germania – si analizzano gli accadimenti da una molteplicità dei punti di vista: la consistenza delle forze schierate sul campo innanzitutto (spesso, come nota criticamente l’autore, il solo o comunque il più significativo aspetto considerato dagli alti vertici militari tanto nel preparare piani d’attacco e di difesa quanto nel giudicare, a giochi fatti, l’esito delle battaglie combattute), poi i disegni strategici messi a punto, le mosse e le contromosse tattiche adottate, la natura dei differenti terreni di scontro (cielo e mare compresi), le personalità dei capi di Stato, di governo, dei massimi comandanti di esercito, marina e aviazione e quelle di coloro che avevano al fronte la responsabilità delle truppe, il ruolo chiave giocato da alcune battaglie – Midway, El Alamein (la prima battaglia) – e quello, forse ancora più decisivo conseguente a scontri evitati o non condotti a completamente a termine – su tutti la riuscita evacuazione delle forze britanniche a Dunkerque, riuscita solo grazie al fatto, dichiara Liddell Hart, che Hitler in persona era intervenuto, il 24 maggio 1940, “a bloccare alle porte di Dunkerque le forze corazzate di Kleist”.
Il quadro complessivo che emerge da questo monumentale lavoro è molto più di una ricostruzione di quanto successo nel tragico periodo 1939-1945, al punto che, a lettura ultimata, suona riduttivo al lettore il titolo del saggio; perché se indubbiamente di una storia militare si tratta, questa non esaurisce il ricchissimo contenuto delle pagine. Quel che si intraprende, affrontando la fatica di Liddell Hart, è un vero e proprio viaggio nel nostro recente passato, un viaggio di enorme interesse e straordinaria intensità, capace di annullare completamente quel senso di estraneità e lontananza che a volte la storia, ingenuamente derubricata da eredità comune a semplice “materia di studio”, porta con sé.
Invece dell’incipit del saggio eccovi una parte della prefazione, a cura di Kathleen Liddell Hart, moglie dell’autore, nella quale egli spiega le ragioni che lo hanno condotto alla decisione di scrivere questo libro, la cui lettura, per quanto impegnativa, mi sento di consigliare di cuore a tutti.
Studiando gli avvenimenti della prima guerra mondiale tra il 1920 e il 1939, mi resi conto delle difficoltà che ostacolavano la storia, perché nessuno era stato in grado di accertare e registrare, in modo indipendente e con una formazione storica, ciò che effettivamente stavano pensando, a quel tempo, i capi militari, un documento chiave sul quale poi fare raffronti con le «memorie» scritte in seguito. Giacché appare più che mai evidente che le memorie di coloro che parteciparono a eventi drammatici assumono colorazioni o deformazioni, in retrospettiva, man mano che gli anni passano. E inoltre, i documenti ufficiali spesso non rivelano i loro reali obiettivi, mentre talora sono addirittura stesi in modo da occultarli. Così, durante la seconda guerra mondiale, facendo visita ai comandanti britannici e alleati, presi abbondanti «appunti storici» in merito ai colloqui avuti con loro, tenendo particolarmente conto delle loro opinioni del momento, come supplemento destinato a integrare la documentazione effettiva, e come mezzo di raffronto con le memorie e i resoconti che avrebbero scritto in seguito. Alla fine della guerra ebbi quasi subito l’occasione di interrogare i comandanti tedeschi allora prigionieri, ed ebbi con loro molte e lunghe discussioni in merito alle operazioni che li riguardavano e anche su argomenti più vasti. E mentre, ovviamente, questa inchiesta non poté essere altrettanto contemporanea, né gettar luce su quel che avevano pensato prima di un particolare avvenimento, o una certa decisione, si trattò pur sempre di un documento che precedette l’annebbiamento dei ricordi dovuto al trascorrere del tempo, mentre i loro resoconti potevano essere confrontati con quelli di altri testimoni, oltre che con i documenti veri e propri.