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“Faccio rispettosamente notare…”


Recensione di “Il buon soldato Sc’vèik” di Jaroslav Hasek

recensione - il buon soldato sc'vèik - jaroslav hasek
Jaroslav Hasek, Il buon soldato Sc’vèik, Feltrinelli

Il vuoto formalismo della vita militare, la disciplina da palcoscenico degli ordini abbaiati con

voce roca, delle marce chilometriche e perfette delle truppe inquadrate in plotoni, squadre, battaglioni e brigate, delle armi presentate agli ufficiali con marziale esattezza, dei dispacci burocraticamente impeccabili contenenti dettagliati ordini e precise procedure che poco o nulla hanno a che fare con la realtà dei fatti, dell’inflessibile catena di comando: la commedia tragica e grottesca degli uomini in divisa (siano essi semplici soldati o generali comandanti di corpi d’armata) che se in tempo di pace riesce, seppur a fatica, a parere normale, a somigliare insomma alla vita civile, si rivela in tutta la sua insensatezza allo scoppiare dei conflitti, nel momento cioè in cui dovrebbe divenir concreto quel che di teorico viene insegnato nelle caserme, nelle accademie, nelle scuole per ufficiali e tutto ciò che di pratico si sperimenta nel corso di esercitazioni, manovre e simulazioni di battaglie. Proprio allora, infatti, addestramento, obbedienza, lealtà, spirito di sacrificio, amor di patria, furore guerriero, tutto quanto cioè chiunque indossi una divisa dovrebbe aver fatto proprio e abbracciato senza riserve, rivela la propria inconsistenza, abbandonando a se stesso l’uomo – mai davvero mutato in “macchina da battaglia massimamente efficiente e non pensante” – creatura fedele solo e soltanto a un atavico, invincibile istinto di sopravvivenza. A simboleggiare questa umanità meschina e tuttavia non vergognosamente vile, egoista ma sempre capace di improvvisi slanci di generosità, ignorante e allo stesso tempo istintivamente saggia e soprattutto capace, meglio di qualsiasi stato maggiore, di comprendere la follia della guerra, di vederne l’inutile crudeltà, di smascherarne la sanguinosa ipocrisia e denunciarne i criminali interessi di parte che la sostengono e promuovono, è Josep Sc’vèik, eroe del noto romanzo Il buon soldato Sc’vèik di Jaroslav Hasek, scrittore e umorista ceco, illustrato dai disegni di Josef Lada (In Italia pubblicato da Feltrinelli nella traduzione di Bruno Meriggi e Renato Poggioli). Agrodolce manifesto antimilitarista, l’opera di Hasek, pur incompiuta a causa della prematura morte del suo autore nel 1923, conobbe uno straordinario successo e venne tradotta in più di sessanta lingue; Sc’vèik così divenne una sorta di simbolo universale della resistenza del buon senso nei confronti della follia del mondo. Il romanzo, infatti, si svolge durante il primo conflitto mondiale, narrato dal punto di vista dell’imperialregio esercito d’Austria-Ungheria, tra le cui file milita, in tutto il suo astuto e calcolato candore, il milite Josef Sc’Vèik, in apparenza desideroso di immolarsi per la vittoria del suo sovrano e di Dio (sempre il primo alleato di tutte le nazioni in lotta, almeno ad ascoltare quanto viene ripetuto in messe, prediche e orazioni dai cappellani militari d’ogni latitudine) ma in realtà prontissimo a cogliere al volo e sfruttare al meglio ogni occasione che gli permetta di restarsene tranquillo nelle retrovie a gozzovigliare e raccontare ogni sorta di aneddoti (di cui pare abbia una riserva inesauribile) evitando lo sterminio di massa del fronte e gli orrori delle trincee.

Incallito bevitore capace di scolarsi d’un fiato una bottiglia di cognac come fosse acqua (proprio in questo modo riesce a ingannare un ufficiale, che pensando di averlo colto in fallo con del liquore proibito gli ordina di berlo tutto in un sol colpo dopo aver udito Sc’vèik protestare la propria innocenza sostenendo che esattamente di acqua si trattasse, raccolta in una bottiglia di cognac in assenza di altri recipienti disponibili), truffatore impenitente (il cui mestiere nella vita civile, se di mestiere è il caso di parlare, è quello di commerciante di cani, che egli svolge affibbiando a chiunque faccia richiesta di un animale di razza bestie di dubbia provenienza e ancor più incerta salute), sempre gioviale e bonario con tutti, incapace di prendere sul serio qualunque situazione, a partire dalla più drammatica, la guerra mondiale, Sc’vèik combatte con il sorriso sulle labbra e le sue improbabili storielle – sullo sfondo di una tragedia collettiva mai esplicitata (tutto il romanzo è un avvicinamento alla prima linea che a causa di contrattempi, errori e fraintendimenti di ogni genere mai si compie) e tuttavia denunciata con forza nella sua assurdità – una personale battaglia contro la sanguinosa volontà di potenza dell’apparato militare, riuscendo ogni volta a spuntarla grazie alle proprie risorse e all’involontario cameratismo di uomini a prima vista diversissimi da lui ma in fondo affratellati a questo spassoso antieroe dal desiderio di vivere, amare, godere dei piaceri del corpo, ridere, gioire, e più di tutto immaginare un domani che non contempli massacri di innocenti. Ecco dunque che nelle oltre 800 pagine dell’affresco di Hasek la guerra si riduce a burla; i suoi morti, che ne sono la realtà più devastante, in questo libro si prendono la loro rivincita nei sotterfugi di Sc’vèik e compagni, nel loro scampare sempre e comunque, bevendo e mangiando alla salute di tenenti, capitani e ufficiali in comando, facendosi beffe di ogni ordine e disposizione, trovando in ogni frangente il modo di evitare punizioni e provvedimenti disciplinari, in una parola restando, per quanto ben fasciati nella divisa d’ordinanza, dei “non soldati” fieri di esserlo e per questo pronti a dare al glorioso impero d’Austria-Ungheria quel che l’impero ha sempre dato loro, grandi sorsate di inutili formalità, la più importante delle quali, non a caso sempre presente sulle labbra del buon soldato Sc’vèik, è la rituale formula di rispetto con la quale un sottoposto deve obbligatoriamente rivolgersi a un superiore: “Faccio rispettosamente notare, signor Oberleutnant…”

Eccovi l’incipit del romanzo. Buona lettura. 

“Sicché ci hanno ammazzato Ferdinando”, disse la fantesca al signor Sc’vèik, che avendo lasciato da qualche anno il servizio nell’esercito per essere stato dichiarato idiota dalla commissione medica militare, ora viveva vendendo degli orribili cani, ibridi mostri per i quali compilava delle fittizie genealogie.

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