Recensione di “La signora scostumata” di Vita Sackville-West
Vestire di apparente frivolezza, o se si vuole di quel che sembra una sorta di delicata
superficialità obbediente al principio squisitamente economico che affida alla disciplinata eleganza formale della prosa il compito di nascondere (quanto basta) l’assenza (o solo l’insufficienza) di una puntuale e profonda capacità d’analisi, il respiro di un racconto, lungi dall’essere un artificio, o peggio una soluzione disperata dettata da una drammatica carenza di mezzi espressivi, testimonia, e con forza di dimostrazione, una indiscutibile qualità letteraria. Qualità che appare immediatamente, nel momento in cui a far parte della storia narrata, anzi a introdurla addirittura, a darne l’avvio, è una considerazione del tutto estrinseca ai fatti che saranno raccontati; lo squadernarsi di un problema che lo scrittore (la scrittrice in questo caso) sempre si trova ad affrontare prima di cominciare il lavoro, e che egli (o meglio ella) risolve senza che il lettore venga in qualche modo coinvolto: “Tra i molti problemi che assalgono un romanziere, la scelta del momento in cui cominciare il suo romanzo non è il meno grave”. Ecco dunque l’architettura del raccontare divenire, con perfetta naturalezza, elemento tra gli altri dei fatti che saranno romanzo; di più, divenirne fondamento, perché la scelta del tempo dal quale ogni cosa avrà inizio, si scoprirà ben presto essere legata a doppio filo a un altro e più specifico tempo, quello dell’età edoardiana, che a propria volta porta con sé un ben preciso ambiente sociale (quello della ricca aristocrazia terriera) nel quale, naturalmente, spiccano le personalità, a un tempo uniche e universali, di coloro che saranno i protagonisti dell’opera. Così La signora scostumata di Vita (Victoria) Sackville-West (Longanesi, traduzione di Henry Furst e Orsola Nemi), amica intima di Virginia Woolf, che a lei si ispirò per il suo splendido e travolgente Orlando, nel presentarsi al pubblico mascherato da arguto ma tutto sommato disimpegnato ritratto di un mondo che lentamente, e quasi senza accorgersene, si avviava verso la dissoluzione sazio di una ricchezza illimitata e favolosa che senza sosta celebrava se stessa nell’opulenza di feste che seguivano a feste, ben presto, abbandonato ogni belletto, rivela quanto siano le ombre, e non le luci, a dominare il suo affresco.
Non a caso il personaggio più tragico del suo lavoro è il più leggero, quasi il simbolo di ciò su cui Sackville-West concentra la sua attenzione: Sylvia, bellissima, non più giovane (è madre di una ragazza già grande) ma ancora irresistibile per molti (primo fra tutti Sebastiano, il figlio di una delle sue più care e intime amiche), sposata senza amore a un ricco possidente – e del resto, non era in questo modo che facevano tutte? non ci sposava forse per dovere, perché si era donne, per ragioni di interesse, perché le diverse famiglie, imparentandosi tra loro, non disperdessero ma al contrario accumulassero patrimoni? E una volta sposate non ci si poteva forse divertire con gli amanti? Non era sufficiente, per vivere libere, rispettare le regole sociali, o fingere di farlo quel tanto che bastava, e cioè non suscitare scandali? – manipolatrice abilissima che tuttavia finisce per invaghirsi più di quanto dovrebbe proprio di Sebastiano scoprendosi incapace, quando il marito, scoperto il tradimento, la mette di fronte alle conseguenze delle sue azioni, non solo di rispettare i propri sentimenti (autentici forse per la prima volta in vita sua) divorziando e fuggendo con l’uomo che ama, ma neppure di concepire una simile eventualità. Ed è attorno a Sylvia, prigioniera delle stantie regole di etichetta che l’hanno resa donna impedendole di diventare persona, che tutto ruota: i dubbi di Sebastiano, legato alla sua splendida tenuta più che a se stesso e tuttavia consumato da un’insoddisfazione che non riesce né a comprendere né a identificare; il crescere, intellettuale ed emotivo, della sorella minore Viola, che poco alla volta comprende che per difendere la propria individualità dovrà pagare un prezzo molto alto; la coraggiosa (ma per certi versi fin troppo facile) spregiudicatezza dell’avventuriero Anquetil, che osserva tra il disgustato e il compiaciuto la dorata prigione di Viola, Sylvia e Sebastiano e della nobiltà inglese tutta convinto che per essere migliori di chi ha avuto in sorte il privilegio di venire al mondo in determinate famiglie sia sufficiente esibire natali più modesti.
Lo scintillio del sole al tramonto mirabilmente disegnato da Vita Sackville-West abbaglia per la freschezza del linguaggio, per la dettagliata descrizione d’ambiente, per un ritmo narrativo che non conosce pause né cali di tensione ma a colpire davvero è la consapevolezza, presente in ogni pagina, della buia notte ormai incombente.
Eccovi, invece dell’incipit, le righe che introducono Sebastiano. Buona lettura.
[…] e non occorre nessuna ulteriore giustificazione a spiegare perché noi si irrompa nella vita del nostro eroe (infatti così, credo, bisognerebbe chiamarlo) quando egli ha diciannove anni, e si vada a incontrarlo sul tetto un po’ dopo il mezzogiorno di domenica, 23 luglio millevocentocinque.