Vai al contenuto
Home » Recensioni » Romanzi » … e fanno la posta alla vendetta

… e fanno la posta alla vendetta


Recensione di “Anestesia locale” di Günter Grass

recensione - Günter Grass - anestesia locale
Günter Grass, Anestesia locale, Einaudi

I denti da curare come metafora di una lingua (la lingua tedesca, la lingua dell’incubo

nazista, la lingua della menzogna del Reich millenario, della purezza della razza, la lingua che ha trovato giustificazioni per l’ingiustificabile, ragioni per atti che di qualsivoglia ragione sono la perversione) che ha il dovere, l’obbligo di tornare a rappresentare la realtà, a misurarsi con essa e finanche ad arrendersi a essa. I denti da curare come pretesto per una narrazione la cui lucidità così estrema sfiora l’indicibile e per questo motivo, per provare a dire ciò è quasi impossibile dire, per vincere la vertigine, si abbandona al grottesco, all’iperbole, a un assurdo che a ben guardare non ha nulla di assurdo, nulla di incredibile, ma altro non è se non il volto del vero spogliato di maschere e abbellimenti. Tutto questo è Anestesia locale di Günter Grass (in Italia pubblicato da Einaudi, nella traduzione di Bruna Bianchi), romanzo-capolavoro che spiazza il lettore fin dalle primissime pagine, celando se stesso nella scintillante nullità della propaganda pubblicitaria, porta d’accesso di un ubriacante andirivieni di storie diverse (che forse sono trame possibili di una sola e identica storia, quella del naufragio tedesco iniziato nel 1933) dove immaginazione e ricordo, invenzione e ricostruzione, finiscono per farsi indistinguibili. Se Heinrich Böll si può a buon diritto considerare come la più lucida coscienza delle Germania a stento sopravvissuta alla più dura e sconvolgente prova della sua storia (la sanguinosa deriva nazionalsocialista), Günter Grass e la sua opera sono una sorta di febbricitante, delirante caos che questa coscienza assale e conquista; ma il risultato di questo colpo di mano, lungi dall’essere un accecamento, un indebolimento delle forze, una impossibilità di pensare, vedere e giudicare le cose, (anche, se non soprattutto, le più abiette) per ciò che sono, offre invece qualcosa di simile a una potenza rinnovata, un’acutezza di sguardo nuova, una sensibilità più viva, l’istinto puro del cacciatore, che indovina la presenza della preda senza aver bisogno di vederla

Così, la tragica e terribile dittatura hitleriana nelle pagine di Grass, ridotta a film – con il film, o meglio con l’apparecchio televisivo che lo trasmette, o che trasmette inserti pubblicitari affinché il paziente del dentista (che è il protagonista del romanzo, professore in un liceo di Berlino alle prese con studenti che sono incarnazioni non della complessità del pensiero bensì della semplicità ferrea e stolida dell’ideologia, che di fronte a qualsiasi problema, a qualsivoglia questione, si illude di non mancare di risposte, anzi di soluzioni, tanto più perfette quanto più radicali) si distragga quel tanto che basta da non far caso al dolore che il medico suo malgrado infligge – trascolora, in modo non dissimile dalle geometrie ipnotiche create dai giochi di luce di una lanterna magica, in memoria, e la memoria in fantasia, e la fantasia in desiderio, e il desiderio in rimorso e il rimorso, a sua volta, nel disperato tentativo di sopportare se stesso, di resistersi, in un’ennesima invenzione, in una riscrittura del passato, impossibile da realizzare ma altrettanto impossibile, come tentazione, da vincere: “[…] Leggere grassetto: Pro o contro la pillola. Il cancro è curabile. Una nuova versione dell’assassinio di Kennedy. Assistere dalla sala d’aspetto e domandarsi angosciati insieme al mondo se lei, la Loren, perderà di nuovo il suo bambino. Ci riguarda tutti che perfino il più intricato errore giudiziario – era – chi era più? – venga chiarito dopo dodici anni. L’ingiustizia fotografata grida vendetta, rapidamente la si sfoglia via. La piaga del petrolio via. Il Sudan meridionale via. Ma qualcuno rimane e fa ronzare la memoria: Schirach dice che era accecato, si pente e ammonisce, mente abbastanza onestamente, rettifica. Quando per la prima volta a Weimar. Un menu di cinque portate al Kaiserhof. Sparati bayreuthiani e luci abbaglianti. Amabili quadretti familiari. Calzoni corti […]. Bisognerebbe confrontarlo con altri casi clinici (il complesso di Giuseppe di cui soffriva Napoleone) e porsi la domanda: che cosa sarebbe stato risparmiato al mondo, se la real-imperiale commissione esaminatrice dell’Accademia di Belle Arti di Vienna non avesse respinto il candidato Hitler, che sognava di fare il pittore accademico…? Perché se c’è qualcosa che il nostro popolo non sopporta sono i bocciati, i perdenti, i falliti. Loro stanno acquattati dappertutto e fanno la posta alla vendetta. Si inventano nemici, e storie nelle quali i loro nemici immaginari esistono davvero e vengono liquidati. Pensano direttamente col mitra. Escogitano sempre nuove varianti della morte dello stesso avversario. Dipingono la parola rivoluzione sul loro specchio da toilette. Nei libri leggono sempre se stessi. E scucchiaiano minestre. E non dimenticano quel piccolo, annoso no. E coltivano la loro cupa volontà. E vogliono eliminare sopprimere ridurre al silenzio. E mentre il mal di denti recede sfogliano rapidi e affannati le riviste…”. 

La letteratura di Grass, coraggiosa fino alla spavalderia, mette con le spalle al muro il lettore, lo costringe a guardare negli occhi, ad affrontare la responsabilità dei fatti compiuti, ne smaschera ogni giustificazione, ne denuncia a gran voce ogni tentativo di fuga, ogni girata di spalle, ogni precipitosa corsa alla ricerca di riparo, di salvezza. La letteratura di Grass ha il peso quasi intollerabile della testimonianza, torna come un incubo, o come un pensiero ossessivo, a fissarsi sull’eternità del passato, che proprio perché non è più sarà per sempre ciò che è stato: un conto aperto che non si può saldare con alcun gesto eclatante, alcun urlo disperato, alcun sacrificio (nella seconda parte del romanzo il protagonista cerca di convincere un suo allievo a non dare fuoco al proprio cane in piazza, a Berlino, allo scopo di sconvolgere i suoi concittadini, così tanto amanti dei cani e così tanto indifferenti alla sorte delle persone da non provare nulla di fronte al napalm americano che devasta il Vietnam), un conto aperto con la memoria, personale e collettiva.

Eccovi l’incipit. Buona lettura.

Questo è ciò che ho raccontato al mio dentista. A fauci spalancate e di fronte al video che, senza suoni come me, raccontava pubblicità: lacca per capelli rosso antico piùbiancodelbianco… Ahimè, e il freezer, in cui, tra cartoni di latte e rognoni di vitello, si conservava la mia fidanzata, esalando fumetti: “Tu tienitene fuori. Tu tienitene fuori…”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *