Recensione di “Armi, acciaio e malattie” di Jared Diamond
“È il 1972, e in una lunga camminata su una spiaggia della Nuova Guinea un giovane
politico locale, Yali, chiede al biologo americano Jared Diamond come sia avvenuto che la sua terra, abitata da 1.000 popolazioni indipendenti per 60.000 anni, sia stata conquistata dagli europei nel giro di due secoli. Il biologo rifletterà a lungo sulle implicazioni di quella domanda, che non riguarda solo la Nuova Guinea ma il mondo intero. Perché è stato un genovese (o catalano che fosse) a ‘scoprire’ il Nuovo Mondo, e un capitano spagnolo con 168 soldati si è impadronito dell’imperatore Inca, difeso da un esercito di 80.000 uomini? Perché non è stato invece un principe inca a sbarcare a Cadice e a catturare il re di Spagna? Gli europei hanno conquistato quasi tutto il mondo negli ultimi cinque secoli: perché non è successo il contrario?“. L’introduzione dei genetisti Luca e Francesco Cavalli-Sforza al bellissimo saggio di Jared Diamond intitolato Armi, acciaio e malattie – Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni (data dell’ultima glaciazione), in Italia pubblicato da Einaudi nella traduzione di Luigi Civalleri mette in evidenza i quesiti chiave cui l’autore risponde con eccezionale chiarezza e rigore scientifico, spazzando via una volta per tutte ogni e qualsiasi teoria (che di teorico non hanno alcunché, trattandosi di null’altro, nel migliore dei casi, che di convinzioni prive di qualsivoglia fondamento, e nel peggiore di menzogne propalate e difese a bella posta per scopi nefandi) basata su una presunta “superiorità” razziale bianca, o occidentale, o eurocentrica comunque si preferisca presentarla e definirla – scrivono ancora a questo proposito gli autori dell’introduzione: “In un’opera che ai tempi conobbe un grande successo, il Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane, completato nel 1855, il diplomatico francese Joseph-Arthur de Gobineau poneva le basi del razzismo europeo moderno, teorizzando la superiorità intrinseca (oggi diremmo ‘biologica’) dei popoli di pelle bianca sugli altri abitanti del pianeta, e mettendo in guardia i suoi contemporanei dalla mescolanza con genti di colore, che avrebbe inevitabilmente determinato il declino della civiltà occidentale. Benché francese, Gobineau attribuiva ai tedeschi il primato della purezza razziale, e non sorprende che in Germania, dove già andava sviluppandosi un forte movimento razzista autoctono, la sua visione conquistasse numerosi adepti nei decenni successivi: fra i più noti Wagner, Nietzsche, Hitler. I progressi della genetica in questo secolo hanno confutato le affermazioni di Gobineau: non esistono fattori biologici che conferiscano ai bianchi una superiorità innata. I colori della pelle e la forma del corpo rappresentano semplici adattamenti al clima di diverse regioni. La nozione di ‘razza’ si applica bene a cani e cavalli, ma non può essere trasferita alla specie umana“.
Ma se tutto ciò (e tutto ciò è di fondamentale importanza) si può, anzi si deve oggi considerare scientificamente acquisito, perché domande come queste (o meglio ancora proprio queste, le domande che il signor Yali fece al biologo Diamond) sono ancora ben vive e presenti? E soprattutto perché moltissime persone tendono a trovare risposte nell’idea di superiorità di razza (magari non biologica ma culturale?). Probabilmente perché le risposte che Diamond offre nel suo libro, pur risultando inattaccabili, non sono facili da accettare. Che merito si potrebbe vantare, infatti, quando si volessero rivendicare i propri progressi, una volta mostrato (e dimostrato) che lo sviluppo della civiltà così come intendiamo il concetto noi occidentali lo si deve a null’altro che a una particolare e fortunata conformazione geografica e a un preciso (e anch’esso assai fortunato) sistema ecologico che ha permesso, in alcune aree del pianeta, cose che in altre aree non sono state possibili? Nessuno, evidentemente, eppure è proprio così che sono andate le cose e Diamond, nella sua “breve” ed entusiasmante storia del mondo lo spiega a più riprese come meglio non si potrebbe. Cosa ha permesso ad alcuni gruppi umani di evolvere prima e meglio di altri, costruire eserciti, imperi, società complesse e conquistare dapprima i popoli vicini e poi porzioni di terra sempre più estese e lontane? Per prima cosa l’agricoltura, risponde Diamond, la disponibilità, in alcuni luoghi molto più che in altri, di piante geneticamente già predisposte alla coltivazione e divenute con il tempo, grazie a piccoli ma essenziali mutamenti, perfette per garantire nutrimento a un numero sempre maggiore di persone consentendo così le prime realizzazioni di società stanziali. Non più dunque nomadi cacciatori-raccoglitori, costretti a spostarsi di continuo in cerca di cibo (interamente consumato per sfamare la propria tribù) ma embrioni di popoli sedentari in grado di produrre più cibo di quanto ne venga consumato e dunque nelle condizioni di mantenere una parte di popolazione non attiva (non dedita cioè alla coltivazione) e libera di applicarsi ad altre attività (dall’artigianato alla scrittura allo sviluppo dell’arte militare). Cos’altro? si chiede e ci chiede Diamond? Ancora una volta la fortuna di avere “a portata di mano” animali che è stato possibile rendere domestici senza particolari sforzi (affinché possano vivere non solo accanto all’uomo ma in sostanza al suo servizio è necessario che le specie animali abbiano determinate caratteristiche e Diamond le elenca, spiegando molto bene perché è stato possibile ad alcuni popoli servirsi dell’aiuto di mucche e cani e non, per esempio, di zebre, ancora oggi ben lungi dall’essere animali domestici, cosa che non ogni probabilità non diverranno mai). Dall’intreccio di questi due fattori ecco nascere l’acciaio e le armi del titolo e non ultime le malattie, trasmesse all’uomo, in tempi antichissimi, proprio dagli animali e divenute, da mortali che erano al principio, innocue per le generazioni seguenti. Innocue per alcuni, ancora una volta, ma potentissimi veicoli di sterminio per popoli che quelle malattie non avevano mai incontrato né mai avrebbero potuto farlo perché nelle loro terre mancavano gli animali che avrebbero potuto trasmetterle finendo per immunizzare le successive generazioni. Così ecco spiegato come il conquistador spagnolo Francisco Pizarro ebbe ragione del sovrano inca Athaualpa, forte di un esercito di 80.000 uomini, mentre Pizarro non poteva contare che su 168 soldati e alcune decide di cavalli (che gli Inca non avevano mai visto, così come non avevano mai visto le armi da fuoco) e come, prima di lui, Cortéz, in Messico, annientò un altro immenso impero, quello azteco (con lui viaggiava uno schiavo malato di vaiolo; ancora una volta le parole dell’introduzione sono di una chiarezza allo stesso tempo evidentissima e agghiacciante: “Quando spagnoli e portoghesi, francesi e inglesi sbarcarono in America, i germi che portano con sé fanno strage, sterminan tra il 50 per cento e il 100 per cento delle popolazioni locali. Cortéz sbarca in Messico nel 1520. Nella sua truppa c’è uno schiavo malato di vaiolo. L’epidemia che colpisce gli aztechi è l’arma finale dei conquistadores; in meno di un secolo, la popolazione messicana crolla da venti milioni a poco più di un milione e mezzo di persone”).
Armi, acciaio e malattie dunque, non frutto di una qualsivoglia superiorità ma di una fausta casualità geografica, le cui conseguenze hanno disegnato il mondo così come lo conosciamo. Suggerisco a tutti la lettura dello splendido, illuminante saggio di Diamond, non solo per imparare ciò che non credo esagerato affermare ignori la grande maggioranza di noi ma anche per giudicare con più saggezza le ingiustizie, le disparità e i torti da cui siamo circondati, originate da molte colpe e da nessun merito innato.
Eccovi l’incipit. Buona lettura.
Tutti sappiamo che i popoli nelle varie parti del mondo hanno avuto storie assai diverse.