Recensione di “Aprile spezzato” di Ismail Kadare
La vita è semplice quando ci sono regole chiare da seguire. La vita è semplice quando
non esiste spazio per l’imprevisto, per l’inaspettato, quando il caso non ha diritto di cittadinanza perché per ogni domanda esiste una risposta certa, non soggetta a dubbi o a possibili interpretazioni. La vita è semplice quando tutte le possibili alternative sono state prese in considerazione, esaminate, vagliate e sistematizzate, quando esiste un ordine che tutto incasella alla perfezione. Tanto semplice da essere come un lungo filo che corre dritto, senza interruzione, dalla nascita alla morte. Ed è proprio la morte il principio, ciò da cui le cose si dipanano; è la morte il grembo materno da cui una vita, o meglio l’ultimo scampolo di una vita, acquista valore e senso, si fa amore, brama e desiderio. Morte e vita, poli opposti di una circolarità che finisce per rendere l’una e l’altra una stessa cosa, fanno da sfondo allo splendido romanzo di Ismail Kadare intitolato Aprile spezzato (La nave di Teseo, traduzione di Liljana Cuka Maksuti), storia commovente e tragica di un giovane – in un’Albania sospesa nel tempo, ritratta nel sovrumano silenzio di una natura che è in pari tempo paradiso e inferno – che, obbediente al Kanun, il codice del sangue che da tempo immemorabile disciplina le vendette familiari nel mondo contadino, deve vendicare l’uccisione del fratello togliendo la vita al suo assassino, in tal modo condannando se stesso a finire in questa interminabile spirale di omicidi. Il codice, infatti, proprio perché legittima questa soluzione, non può impedire (ma anzi prevede e regolamenta) che la famiglia che ha perduto un proprio caro rinunci al diritto di rivalsa prendendosi, al termine di trenta giorni di tregua, la vita del giustiziere. Così Gjorg, questo il nome del ragazzo che il lettore incontra all’inizio del romanzo, appostato in attesa del proprio bersaglio, una volta compiuto il proprio dovere in ossequio alla famiglia e prima ancora alla lettera del Kanun, si ritrova quasi senza rendersene conto al termine di un’esistenza che con ogni probabilità non ha mai davvero vissuto.
Dopo la morte che ha dispensato non gli resta che un mese ancora da vivere. Come trascorrerlo? Cosa fare? Gjorg non lo sa, è quasi sorpreso da questo tempo che in un istante si è dilatato a dismisura e che lui ora deve riempire in qualche modo, deve dotare di senso prima che sia troppo tardi. Ma nella semplicità della vita disegnata dal Kanun ecco irrompere qualcosa che nessuna regola ha mai preso in considerazione: l’amore. Gjorg incontra per caso Diana, fresca sposa in viaggio di nozze, e quel momento del tutto fortuito cambia per entrambi ogni cosa: “Besian stava salendo in carrozza, quando si sentì stringere il braccio da Diana. ‘Guarda’, disse lei a voce bassa. Poco distante da loro c’era un giovane montanaro, pallido in volto, che li fissava con aria smarrita. Sulla sua manica si vedeva chiaramente un nastro nero. ‘È un uomo coinvolto in un riscatto del sangue’, disse Besian rivolgendosi al locandiere. ‘Lo conosce?’. Gli occhi strabici del locandiere interrogarono il vuoto a qualche passo dal montanaro. Questi, che si apprestava a entrare nella locanda, si era fermato perché visibilmente incuriosito da quegli ospiti di riguardo. ‘No’, disse il locandiere ‘tre giorni fa è passato di qui, diretto a Orosh, per pagarvi l’imposta del sangue. Ehi ragazzo’, grdò, ‘come ti chiami?’. Il montanaro, evidentemente sorpreso nel sentirsi chiamare dal locandiere, si girò verso di lui. Diana era già salita in carrozza, ma Besian si fermò sul marciapiede, come per sentire la risposta dello sconosciuto. Il volto di Diana, leggermente livido, comparve nel vano del finestrino. ‘Gjorg’, rispose il giovane, con voce un po’ incerta, spezzata, come di chi sia stato a lungo in silenzio […]. La carrozza si mosse. Gli occhi dello sconosciuto, che sembravano molto scuri, forse per contrasto con il pallore del volto, restavano fissi sul riquadro del finestrino in cui si stagliava la figura di Diana. Anche lei, pur consapevole di non doverlo più guardare, non sentiva la forza di distogliere i suoi occhi da quel viaggiatore apparso all’improvviso dalla strada. Mentre la vettura si allontanava, due o tre volte asciugò la condensa che il proprio respiro formava sul vetro, ma il vapore subito si riformava, come se avesse fretta di far scorrere una tenda fra loro“.
Romanzo sofferto, intensissimo, sorretto da una prosa perfetta, che non si vorrebbe mai smettere di leggere, di struggente bellezza e assoluto dolore, Aprile spezzato è un puro gioiello letterario, un inno, meraviglioso e atroce, alla nostra irrimediabile solitudine.
Eccovi l’incipit. Buona lettura.
I suoi piedi erano freddi e, ogni volta che muoveva un poco le gambe intorpidite, sentiva sotto le scarpe un lamentoso scricchiolio di ciottoli.