Recensione di “Atti umani” di Han Kang
Nel suo splendido, disperatamente ghignante Mea culpa, Louis-Ferdinand Céline
afferma che l’uomo è umano pressappoco allo stesso modo in cui la gallina sa volare; l’uccello domestico si alza da terra solo in seguito a un vigoroso e ben assestato calcio nel sedere (e il suo librarsi, peraltro, non è altro che un salto goffo e sgraziato), l’uomo si ricorda della propria nobiltà, e riesce a solidarizzare con il prossimo, a mettere da parte il proprio egoismo e a non agire esclusivamente in vista del profitto e dell’interesse personale esclusivamente quando qualche collettiva tragedia (il calcio nel sedere) lo travolge, ricordandogli la sua natura di persona tra le altre, di unità parte di una molteplicità, di una generalità (l’uomo, l’umanità). L’uomo, la sua umanità misteriosa, il suo sorgere in atti di dignitosa misericordia, di silenziosa accettazione del dolore, della sofferenza, incomunicabile nella sua nudità, indicibile nella sua ferocia, inguaribile nei suoi effetti, nei segni che lascia, nelle cicatrici e nelle menomazioni dei corpi, tracce insopportabili alla vista di anime amputate, e nello stesso momento il suo sparire, il suo morire, il suo collassare – come da un istante all’altro collassa la luce del sole durante un’eclissi – nel deserto assoluto di ogni pietà, nella frenesia orgiastica del ricorso sistematico alla tortura, all’umiliazione fisica e psicologica, nella menzogna e nella mistificazione abbracciate senza riserve, impugnate come ragioni a sostegno della propria perversa malvagità – “È possibile testimoniare che mi ficcarono ripetutamente nella vagina un righello di legno di trenta centimetri, spingendolo dentro fino fino alla parete posteriore dell’utero? Che mi lacerarono la cervice uterina con il calcio di un fucile? Che, quando l’emorragia non voleva arrestarsi e collassai, dovettero portarmi all’ospedale per una trasfusione? È possibile affrontare il fatto che dopo continuai a perdere sangue per due anni, che mi si formò un coagulo di sangue nelle tube di Falloppio e rimasi sterile? È possibile testimoniare che sviluppai un’avversione patologica al contatto fisico, soprattutto con gli uomini?” – respirano nel lirismo perfetto della prosa di Han Kang, nel suo meraviglioso e dirompente Atti umani (Adelphi, traduzione di Milena Zemira Ciccimarra) nella sua narrazione che osserva il trauma e lo analizza con la precisione professionale del medico e la cura paziente, meticolosa, di chi è insieme vittima e testimone, di chi porta nelle carni e nello spirito l’abisso senza fondo dell’abiezione umana.
La scrittrice, premio Nobel per la Letteratura 2024, sceglie la storia, o meglio la storia dimenticata, quella che si fa ogni sforzo per evitare che venga alla luce, che se ne parli, che sia, come è giusto, di pubblico dominio e venga giudicata, e ne fa l’architettura del proprio romanzo. L’anno è il 1980, il mese maggio, la città Gwangju. Qui, cittadini inermi, no, non inermi ma innocenti, e vale la pena di scriverlo di nuovo, innocenti di ogni accusa che è stata loro rivolta per giustificare le atrocità compiute, decisero di manifestare, contro la dittatura allora al potere, per chieder riforme democratiche. Cittadini, in massima parte professori e docenti; persone che alla violenza non pensavano minimamente, che non si aspettavano in alcun modo di venirne travolti. Giovani, donne e uomini che non chiedevano altro che democrazia, e diritti, e libertà. Ma la risposta del governo, la risposta degli assassini, fu una repressione durissima, sanguinosa, che causò migliaia di morti (le cifre ufficiali dicono tra 1.000 e 2.000) e che venne autorizzata, e presentata agli arrestati, ai perseguitati, a coloro che furono costretti a subire ogni genere di umiliazione, che finirono per morire anche quando riuscirono a sopravvivere (e forse è stata la loro la sorte peggiore), come una doverosa reazione a pericolosi atti di sedizione fomentati dai comunisti della Nord Corea. Fino a questo punto, si diceva, la storia, la cornice, la ragione dello scrivere; ma la storia, la storia nella sua orripilante fissità di fatto compiuto, nella sua con gelata eternità, non è che un pretesto perché fin dalle primissime righe Kang la abbandona, ne tralascia il resoconto cronicistico per addentrarsi in quella che è la sua verità più profonda e proprio per questo più difficile da svelare; quella di chi quella storia l’ha compiuta, le vittime e i carnefici, quella di chi decise di sacrificarsi fino in fondo in nome di principi che valgono più di tutto e quella di chi preferì cedere alla comodità di menzogne che offrivano salvacondotti per ogni nefandezza e la più potente delle anestesie da riservare alla coscienza: non ho fatto altro che seguire gli ordini che mi venivano impartiti.
Romanzo splendido, indimenticabile, di straordinaria potenza, di una dolcezza commovente e miracolosa che sorge spontanea e testarda come un filo d’erba in una distesa di cemento, Atti umani è un’opera di immenso valore, una lettura imprescindibile.
Eccovi l’incipit. Buona lettura.
“Sembra che voglia piovere” mormori. Che faremo se verrà a diluviare?