Vai al contenuto
Home » Recensioni » Prima del tramonto

Prima del tramonto

recensione - louise erdrich - laroseUn nome che unisce più vite, che lega a sé tempi diversi, stagioni differenti, che evoca le

infinite possibilità della magia, la comunione con la natura, la giustizia che riposa nel cuore del mondo e della cui esistenza gli uomini con troppa facilità si dimenticano. Un nome che è al tempo stesso d’uomo e di donna, che è uomo e donna, che è lo spirito che unisce un uomo una donna, quello spirito che si incarna in un figlio. E LaRose, il LaRose con cui si apre lo splendido romanzo omonimo di Louise Erdrich (LaRose, Feltrinelli, traduzione di Vincenzo Mantovani) è un figlio, uno dei cinque figli di Landreaux ed Emmaline. Siamo alla fine del millennio, alle porte dell’anno 2000, nella riserva degli indiani ojibwe, e Landreaux da mesi sta seguendo un cervo: “Landreaux aveva seguito le tracce del cervo per tutta l’estate cullando l’idea di catturarlo, bello grosso, subito dopo il raccolto del granturco […]. Il cervo aveva abitudini regolari e si sentiva a suo agio in quello che considerava il proprio territorio. Passava tutta la prima metà del pomeriggio in attesa e in osservazione, poi trovava il coraggio di uscire prima del tramonto, attraversando il confine della riserva”. Ed è esattamente al confine della riserva, nella luce declinante ma ancora forte di un crepuscolo pronto a giungere che Landreaux è appostato in attesa dell’animale; è un ottimo tiratore, il fucile è puntato e il colpo è in canna. Deve solo sparare. Ma quando Landreaux spara, a crollare colpito dal proiettile non è il cervo ma suo nipote, il figlio di una coppia di amici vicini di casa, Peter e Nola. E Nola è anche la sorella di Emmaline. LaRose comincia così, con una tragedia priva di ragione, priva di perché (come lo sono, in fondo, gran parte della tragedie), impossibile da accettare proprio per il fatto che non esistono motivi in grado di spiegarla. Landreaux non era ubriaco quando ha premuto il grilletto, non è stato imprudente, non ha fatto nulla di sbagliato, non ha colpe. Semplicemente, sul ramo di un albero vicino a dove si era fermato il cervo era accoccolato un ragazzino, un ragazzino che non doveva essere lì.

C’è un’antica tradizione indiana secondo la quale una famiglia che ne ha privata un’altra di un figlio può riparare quanto fatto donando a coloro che non l’hanno più un figlio proprio, e questo, pur tra indicibili sofferenze, decidono di fare Landreaux ed Emmaline: lasceranno alla famiglia di Peter e Nola il loro LaRose, occasionale compagno di giochi del ragazzo ucciso. Così LaRose cresce tra due famiglie, senza capire il senso del suo destino al principio ma poi, poco alla volta, finendo per essere l’ago della bilancia di una serenità a lungo cercata. Nella casa d’adozione LaRose raccoglie in silenzio l’amore disperato di una madre che riversa su di lui l’atroce dolore della perdita subita: ascolta le storie che avrebbe ascoltato il figlio naturale se fosse ancora vivo, accetta le carezze, gli abbracci, e le lacrime che li accompagnano, attende paziente che Maggie, l’altra figlia naturale di Peter e Nola, dimenticata o quasi a causa del lutto, trovi le forze neccessarie per accogliere LaRose, accoglierlo come fratello. E mentre LaRose, per il solo fatto di essere ciò che è, si fa astro attorno al quale ricominciano a orbitare due famiglie a un passo dalla disgregazione, la storia che è nel suo nome si dipana lungo le pagine del romanzo e il lettore scopre la prima LaRose, la prima di cinque, un’indiana venduta bambina da una madre che non aveva altra alternativa se non quella di lasciarla a chi le offrisse qualcosa in cambio, un’indiana che dopo aver conosciuto privazioni e violenze ha incontrato l’amore, dato vita a una famiglia, lottato e vinto a più riprese la tubercolosi prima di arrendersi al suo ennesimo assalto e coperto, protetto con la sua magia, ogni generazione a venire. Non tanto da evitare che la sofferenza, le colpisse (questo a nessuna magia, neppure alla più potente è consentito), ma abbastanza da regalare loro un respiro di speranza, di vita, oltre il buio.

Romanzo di non comune bellezza, LaRose è una lettura travolgente, magnifica, che seduce e commuove. Un piccolo grande gioiello da non perdere.

Eccovi, invece dell’incipit. Le ultime righe dei ringraziamenti che l’autrice ha scritto alla fine del libro. Buona lettura.

Mio nonno Patrick Gourneau, Aunishinaubay, frequentò l’Indian Boarding School di Fort Totten e l’Indian School di Whapeton. Scrisse per tutta la vita con la sua bella e raffinata calligrafia. Aza Erdrich ha usato il suo corsivo quando ha disegnato la copertina di questo libro. Così facendo, ci ha collegati tutti con il suo bisnonno e la sua prozia, la nostra ava, la prima LaRose.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *