Recensione di “L’illusione” di Federico De Roberto
È un mondo in lento disfacimento quello nel quale si consuma l’esistenza di Teresa Uzeda, donna inquieta, tormentata e appassionata, eroina tragica e patetica insieme, allo stesso tempo coraggiosa e vile, orgogliosa e pusillanime, capace di generosità come di grettezza, perduta in fantasticherie e sogni eppure lucida nell’analisi dei patimenti che la vita le riserva. Personaggio complesso, straordinariamente moderno, talmente fragile da muovere a compassione e a tratti così colpevolmente irresponsabile da suscitar fastidio, quando non aperta ribellione, la nobile Teresa Uzeda, ritratta dall’infanzia alla maturità, è la protagonista del bellissimo romanzo di Federico De Roberto L’illusione.
Parte di una trilogia che comprende I Vicerè (il capolavoro dello scrittore napoletano, di cui ho già scritto in questo sito) e L’imperio, quest’opera si concentra su un singolo ritratto per disegnare un’epoca (la storia è ambientata alla fine dell’Ottocento, nei raffinati ambienti dell’aristocrazia siciliana e romana), cogliendola, oltre che nelle sue specificità, in tutto ciò che essa ha di “eterno”, dunque in quelle “qualità”, in quelle caratteristiche che sono del tempo più che di un particolare momento storico.
Come farà con molta più incisività ne I Vicerè, in questo lavoro, pur adottanto una prospettiva individuale, De Roberto si concentra su tutti quegli aspetti (dell’uomo come della società di cui è parte) che stanno a fondamento del vivere di ciascuno e di tutti. Nel carattere della fanciulla e poi della donna Uzeda egli ci mostra splendori e miserie che non fatichiamo a riconoscere come nostri, e che per questa ragione ci coinvolgono, ci impressionano e ancor più ci spaventano. E nella medesima maniera De Roberto procede quando guarda alla società, ai salotti e alle conversazioni oziose e colte che vi si tengono, alla politica romana (che racconta sfiorandola, prendendo a pretesto la travolgente ma infelice storia d’amore tra Teresa, separata da un marito sposato senza amore, e il giovane deputato Paolo Arconti), di cui denuncia la ritualità stantia, la sostanziale immobilità, l’incapacità di slanci ideali e di rinnovamento autentico.
Gli uomini che incarnano questo vivere sociale fatto d’apparenza, dove nulla sembra accadere davvero e che pare destinato a replicar se stesso in un continuo presente che poco alla volta ma inesorabilmente consuma se stesso, sono gli stessi che condannano Teresa all’infelicità, vanificano le sue speranze, ne offendono la sensibilità, e attraverso giochi di seduzione e insistiti corteggiamenti (che lusingano l’amor proprio di questa creatura rimasta fanciulla in cuor suo) umiliano il suo bisogno di amare ed essere amara, calpestano il suo anelito all’assoluto, ingenuo quanto possono esserlo le idee dei sentimenti coltivate tra le pagine dei romanzi ma sostanzialmente sincero, in qualche misura perfino puro, incorrotto, e perciò meritevole di rispetto.
Testimone di una stagione che intimamente la rappresenta ma dalla quale è anche lontanissima per carattere, Teresa Uzeda è un personaggio impossibile da dimenticare, plasmato dal suo creature a immagine della collettività di cui ognuno di noi è parte. Come acutamente scrive Vitaliano Brancati, “tutti sono in grado di giudicare la somiglianza delle delusioni di De Roberto alle nostre”, ed è esattamente questa capacità di superare le contingenze e di guardare all’universalità del mondo, alle sue fondamenta, a quell’intricato sottosuolo che sembra contenere in sé ogni tempo e dissolverne le peculiarità nel dettato sempre uguale delle sue “leggi di natura”, a rendere ancora oggi De Roberto uno scrittore eccezionale per attualità e importanza. La rigida classicità della sua prosa, la signorile sobrietà dello stile, quella sua studiata “letterarietà borghese” regalano al lettore un raffinato piacere estetico, ne accarezzano il gusto senza minimamente stemperare la profondità delle sue riflessioni né la forza delle sue denunce. Nei suoi romanzi De Roberto si fa narratore di una storia d’Italia gelida e feroce, intrisa di crudo realismo e di una visione profetica che non può non lasciare ammirati e scossi. Federico De Roberto è un autore da riscoprire, e non abbandonare più.
«Il nonno! Il nonno!… Arriva!… Eccolo qui!…».Lasciata a precipizio la finestra, ella si mise a correre, insieme con Lauretta, per la casa; gridò dietro l’uscio della camera della mamma: «È arrivato!… È qui!…» scappò a chiamare le persone di servizio: «Stefana!… Camilla!…» e tornò verso l’anticamera sgolandosi: «Nonno!… Nonno!… Eccoci, nonno!…».Il nonno, seguito dal portinaio e dal facchino con le valigie, era a mezza scala quando ella gli arrivò dinanzi. Abbracciatala e baciatala sulle due guance, esclamo: «Teresina!… Come stai? Come sta la mamma?». «Bene, nonnuccio… tutti bene!… Anche Lauretta… Dove s’è cacciata?… Tò: eccola lì…».
De Roberto l’ho amato e odiato, non so se intraprenderei questa lettura!
I Vicerè è un autentico capolavoro. Questo romanzo ne è in qualche modo la prova generale, ha momenti meravigliosi e, certo, anche qualche lungaggine, ma resta un’opera di grande, grande valore
E’ la lungaggine che mi preoccupa!
I vicerè sono il capolavoro indiscusso di De ROberto, ho ama L’ illusione, ma mai quanto i Vicerè
Concordo
Sei una lettrice forte e preparata, la lungaggine è un peccato veniale che puoi agevolmente sopportare