Recensione di “Altri libertini” di Pier Vittorio Tondelli
Musica della disperazione. Armonia letteraria dettata dai richiami allo stile degli autori più amati (Céline e Kerouac su tutti) e da una scrittura sovrabbondante, carnale, insistita, che come una ferita degenerata in piaga affastella fiammeggianti descrizioni di un’umanità alla deriva, abbandonata a se stessa, sospesa in un eterno presente, tempo fuori dal tempo simbolo di un esistere privo di qualsiasi possibilità di riscatto.
Nei racconti che compongono la sua opera d’esordio, intitolata Altri libertini e pubblicata nel 1980, Pier Vittorio Tondelli (scomparso nel 1991, a soli 36 anni) dà voce a una realtà allo stesso tempo concreta e sfumata, la “periferia sociale” che è da sempre il regno maledetto dei vinti, di coloro che si sono irrimediabilmente perduti. Tossicodipendenti, prostitute e sbandati di ogni genere sono i protagonisti delle sue storie, e l’autore narra la loro quotidiana devastazione con accenti di vibrante sincerità e profonda partecipazione emotiva; disciplinato nella scelta della forma espressiva, incisivo nei dialoghi e nel taglio dei caratteri, annulla la distanza tra sé e ciò di cui parla immergendosi nella ruvida immediatezza del linguaggio parlato, e così facendo trasforma la scrittura in una commovente forma di condivisione emotiva.
Più che scegliere di raccontare il perverso cortocircuito autodistruttivo dei suoi antieroi, Tondelli sembra offrire loro un’occasione per farsi sentire, per sfogare l’urgenza di ribellione da cui sono scossi (che in realtà non è altro che bisogno di comprensione, di attenzione, di laica, umanissima pietà) e rivendicare di fronte al “piccolo mondo” – l’Emilia contadina e provinciale, la “grassa e inumana Bologna” cantata da Guccini – che li ha visti nascere e indifferente assiste alla loro consunzione, il proprio diritto a essere se stessi malgrado tutto. E l’urlo strozzato di chi resiste, di chi vive, seppur ai margini, tra dosi spasmodicamente attese e subito bruciate e sesso consumato così, “perché tira la passera”, o venduto in un parco per quattro soldi (ma accade anche, e sono le volte migliori, in cui ci sia dia per puro desiderio, o per amore: “Finisco alla Montagnola che in quel periodo stan rimettendo a nuovo e non c’è tanto in giro. Non fatico ad andare a battere, l’unico ostacolo è che son schifiltoso e al massimo ne rimorchio uno perché poi mi viene a piacere troppo e dimentico di chiedere i soldi, e comunque, alla Montagnola, sotto un bel lampione scrostato nasce l’amore con Sammy, che è studente alla Johns Hopkins”), fa da contraltare alla miseria irrimediabile delle città, dei paesi, al palcoscenico sul quale si consuma il dramma della morte in vita.
Tondelli indugia nel dettaglio meschino, umiliante delle cose – “Sono giorni ormai che piove e fa freddo e la burrasca ghiacciata costringe le notti ai tavoli del Posto Ristoro, luce sciatta e livida, neon ammuffiti, odore di ferrovia, polvere gialla rossiccia che si deposita lenta sui vetri, sugli sgabelli e nell’aria di svacco pubblico che respiriamo annoiati” – ma solo per far risaltare quanto più possibile i sentimenti e il mondo interiore delle persone; le speranze, le illusioni, le passioni (soprattutto quelle amorose, riflesso delle esperienze dell’autore) che animano i reietti sono la misura della loro coscienza, del loro essere, della loro dignità. A ognuno di essi lo scrittore emiliano regala un’attenzione spoglia della facile e irritante condiscendenza della “gente perbene”; Tondelli, che non senza difficoltà e disagi ha preso coscienza e vissuto la propria omosessualità – “odiosa devianza” ancora oggi per molti difficile, se non impossibile, da accettare – si avvicina al prossimo raccontando, attraverso le sue vicende, anche se stesso.
Scrivendo si rivela, essere umano tra gli altri, giovane sostanzialmente identico a quelli che descrive, e proprio come loro alla continua ricerca di un senso, di un perché, di una direzione da prendere. Ancorato al suo talento, riesce a non smarrirsi ma è il passo successivo quello più importante: forte della sua sensibilità, infatti, trasferisce nell’amara vivacità delle sue storie, facendola propria, l’inquietudine di una generazione, disegnando ritratti forse non indimenticabili, ma certamente autentici.
Altri libertini, assurdamente sequestrato dall’autorità giudiziaria per oscenità (quasi superfluo sottolineare che in tribunale autore ed editore vennero assolti con formula piena) è un libro intenso, carico di ironia, beffardo, disperato, testardo; non è perfetto, ma ogni pagina è entusiasticamente vera, è carne e spirito del suo autore. E Tondelli è un autore che merita considerazione.
Eccovi l’inizio di Viaggio, forse il più struggente tra i racconti che compongono il volume. Buona lettura.
Notte raminga e fuggitiva lanciata veloce lungo le strade d’Emilia a spolmonare quel che ho dentro, notte solitaria e vagabonda a pensierare in auto verso la prateria, lasciare che le storie riempiano la testa che così poi si riposa, come stare sulle piazze a spiare la gente che passeggia e fa salotto e guarda in aria, tante fantasie una sopra e sotto l’altra, però non s’affatica nulla. Correre allora, la macchina va dove vuole, svolta su e giù dalla via Emilia incontro alle colline e alle montagne oppure verso i fiumi e le bonifiche e i canneti. Poi tra Reggio e Parma lasciare andare il tiramento di testa e provare a indovinare il numero dei bar, compresi quelli all’interno delle discoteche o dei dancing all’aperto ora che è agosto e hanno alzato persino le verande per godersi meglio le zanzare e il puzzo della campagna grassa e concimata.
Lungo la via Emilia ne incontro le indicazioni luminose e intermittenti, i parcheggi ampi e infine le strutture di cemento e neon violacei e spot arancioni e grandifari allo iodio che si alzano dritti e oscillano avanti e indietro così che i coni di luce si intrecciano alti nel cielo e pare allora di stare a Broadway o nel Sunset Boulevard in una notte di quelle buone con dive magnati produttori e grandi miti. Ne immagino ventuno ma prima di entrare a Parma sono già a trentatré, la scommessa va a puttane, pazienza, in fondo non importa granché.