Recensione di “Il buco che ho nel cuore ha la tua forma” di Eleonora Molisani
Raccontare il presente intrecciando forma e sostanza, gettandosi nelle cose e restituendole attraverso le parole; scomporre e ricomporre l’oggi nella folgorazione improvvisa di un ritratto abbozzato eppure in qualche modo già compiuto; precipitare nell’ombra e sfiorare la luce nella contenuta, studiata frenesia di un narrare che è sguardo, ascolto, partecipazione e vita. Che è testimonianza.
Costruire storie riscoprendo il reale, svelandolo come si fa con un segreto, o un mistero; svergognandolo persino, mettendone a nudo i difetti, le mostruosità, gli eccessi grotteschi, il caos indomabile che è sostanza prima di ogni parvenza d’ordine, fondamento di ogni sistema e nucleo del nostro vivere sociale, del nostro balbettante, incostante essere, gli uni per gli altri, persone e non lupi. E nel sistema chiuso, autosufficiente e perfetto dell’artificio letterario, nel miracolo lieve e lucente della pagina scritta, partire dalle parole e alle parole di nuovo approdare, e durante il viaggio assistere al loro incessante germogliare. Il buco che ho nel cuore ha la tua forma, felice e sorprendente esordio della giornalista Eleonora Molisani, sembra percorrere la strada della sperimentazione, della negazione insistita (più facile definirlo per ciò che non è – non un romanzo, non una raccolta di racconti, non un diario, non un saggio, non un’opera di denuncia né un semplice catalogo d’attualità – che per ciò che è; un riflettere lucido e palpitante, grondante d’emozioni e insieme conseguente come un ragionamento logico o una dimostrazione matematica, sul nostro tempo, e più ancora sul nostro essere gettati in esso), della dichiarata bizzarria, dell’esibita rinuncia alle responsabilità (sono solo canzonette, cantava con finto candore un impegnatissimo Edoardo Bennato, sono solo parole, gli fa eco l’autrice ad anni di distanza, e in entrambi i casi è proprio l’innocenza così vivacemente protestata la più limpida confutazione di sé), ma in realtà il suo edificio stilistico e tematico è rigoroso, meditato, compiuto.
Così, ecco la parola farsi interpretazione, il segno indicare la cosa, la scrittura, in tutti i suoi singoli elementi, tradurre i fatti, offrire voce al loro accadere. Nel pugno di righe che l’autrice dedica ai personaggi del suo libro, agli episodi di vita che illumina, ai momenti che descrive (dilatati, compressi, esplosi come fuochi d’artificio o congelati nella fissità inquietante di un fermo immagine), soffia il respiro pesante del nostro affanno, la corsa folle all’accumulo di esperienze che non siamo più in grado di capire (e dunque di vivere) e ci limitiamo a consumare; nella prosa forte e nervosa, diretta, franca, spudorata, riverbera la superficie del mondo, la sola realtà che vediamo, che ci illudiamo di conoscere – “Sognavo che il mio nome facesse il giro del mondo ma, prima di diventare qualcuno, sono diventata nessuno. Un giorno me la sono giocata tuffandomi da uno scoglio, in Spagna. Ma non mi son buttata da quello scoglio per suicidarmi, come pensano le mie sorelle e Claudio, il mio moroso, che una settimana prima mi aveva lasciato. Non mi sono buttata per la disperazione, perché la vita me la sentiva tutta scorrere nelle vene e nei nervi. Facevo l’amore, andavo a ballare, bevevo e fumavo. E leggevo, sì, leggevo Pessoa” Il libro dell’inquietudine) – e ci insegue l’eco maligna dei nostri peccati, ci bracca la furia delle Erinni del rimorso, ci segna, come una scarlatta lettera d’infamia, la memoria della nostra vigliaccheria, o solo il peso della nostra debolezza: “Tutta colpa di Crudelia. Se non avessi fatto il disegnino innocente di quelle strega che maltrattava i cagnolini nel mio film preferito. Se alla domanda: ‘Piero, qualcuno ti ha fatto del male?’, avessi risposto un ‘No’, secco. Se non avessi guardato il viso di papà e non mi fossi messo a frignare come un neonato. Se non mi fossi fatto la pipì addosso. Se, se, se…” (Crudelia De-Mom).
Storie del terzo millennio, questo il sottotitolo del primo libro di Eleonora Molisani (Priamo e Meligrana Editore); storie tanto brevi quanto intense, storie scritte in un palmo di mano, profonde come piaghe, sferzanti come colpi di frusta, e di squisita, commovente bellezza.
Buona lettura.
La tua presentazione molto elaborata nelle frasi iniziali mi ha un po’ bloccato nella logica del discorso, ma poi mi sono ripreso e quelle citazioni: “sono solo canzonette” e “sono solo parole” mi hanno dato una botta di riveglio e forse un pochino pochino credo di aver capito. Sei forte …. Paolo, ciao alla aprossima
Non so davvero più come ringraziarti, Nino
grazie a te, ma basta ringraziamenti, sono io che ho la possibilità di conoscere nuovi libri anche se solo come presentazione, alla prossima