Recensione di “Sei problemi per Don Isidro Parodi” di Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casares
Nel mondo chiuso e nello stesso tempo privo di confini della letteratura; in un’erudizione vastissima, capace di contenere in sé il vero e il suo opposto, di dare alla finzione la medesima sostanza di ciò che è reale e di far scivolare il consueto in un’invenzione fantastica perfettamente plausibile; nella rivisitazione curiosa, colta e originale dei generi; nella geniale costruzione di labirinti narrativi.
E poi nell’intrecciarsi di inesistenti biografie, nella continua ricerca di un libro che senza essere mai nato è tutti i libri che sono già stati scritti e tutti quelli che ancora devono essere immaginati, nell’elaborazione di una storia che sia universale e insieme esploda, come un fuoco d’artificio, in mille e mille particolarismi, nella moltiplicazione degli specchi e nell’eternità, illusorio sussurro del tempo degli uomini.
Abita qui, in questo crocevia filosofico-letterario, il senso della scrittura di Jorge Luis Borges, uno degli autori più significativi del Novecento; qui hanno le loro radici lo stile raffinatissimo e inimitabile, il respiro della prosa, quieto come la superficie di un lago e misterioso, abissale, quasi incommensurabile nell’elaborazione dei temi e degli argomenti, lo sperimentalismo che sembra caratterizzare ogni opera ma che in realtà non è che la manifestazione di un talento particolare, meglio ancora, unico: quello di trovare nelle parole, in tutte le parole e in ogni loro possibile combinazione, una sorgente inesauribile di significati, una illimitata geografia di possibilità.
In questo sorprendente, spiazzante, irresistibile spazio dell’anima e della mente, la voce di Borges non soltanto risuona inconfondibile, perfino stentorea nella sua garbata pacatezza; sa anche, quando si presenta la giusta occasione, mescolarsi ad altre, espandersi in un’eco, allargarsi in cerchi concentrici: accade, per esempio, nell’affascinante e grottesco Sei problemi per don Isidro Parodi, scritto con Adolfo Bioy Casares. Compongono quest’opera ingegnosa e intrigante, un magnifico esercizio di stile, un divertissement prezioso, un riuscitissimo scherzo dalle palpitanti atmosfere noir presentato e raccontato da una “penna” inventata eppure più che verosimile – quella del dottor Honorio Bustos Domecq, nato “nella località di Pujato (provincia di Santa Fe) nell’anno 1893”, che scrisse questi racconti per “combattere il freddo intellettualismo in cui hanno sprofondato questo genere letterario [il giallo] Sir Conan Doyle, Ottolenghi, ecc.” -, sei intricati casi che vengono sottoposti all’acuto vaglio deduttivo di un investigatore tanto infallibile quanto improbabile. Perché il protagonista di queste storie agili e dense, ricchissime e polverose come magazzini abbandonati, ironiche e leggere, l’Isidro Parodi del titolo, è un carcerato, condannato (ingiustamente, va da sé) nientemeno che per omicidio. E forse è per questo, per il fatto di sangue di cui è stato ritenuto responsabile, che questo detenuto tranquillo, che senza patema né preoccupazione alcuna consuma i suoi giorni nella cella 273 del penitenziario nazionale di Buenos Aires, riesce a risolvere, semplicemente ascoltando gli affannati resoconti dei suoi “clienti”, i complicatissimi affari che li riguardano, e che sempre hanno a che fare con misteriosi delitti.
Il delizioso rincorrersi delle personalità degli autori, così simile al perfetto splendore della danza, al suo equilibrio miracoloso e fragile, dà vita a pagine indimenticabili, fitte di dialoghi arguti, abitate da personaggi meravigliosamente folli – valga per tutti il Molinari del primo racconto del libro, intitolato I dodici segni dello Zodiaco, che al cospetto di Parodi così si descrive: “Mi creda, io sono un giovane moderno, uno che vive al passo coi suoi tempi; mi piace divertirmi, ma mi piace anche meditare. Mi rendo conto che abbiamo ormai superato la fase del materialismo; le comunicazioni e le sedute del Congresso eucaristico mi hanno colpito profondamente […]. Io, come cattolico, ho rinunciato al centro spiritico Onore e patria, ma ho capito che i drusi formano una comunità progressista e sono più vicini al mistero di molti di quelli che vanno a messa la domenica” – colme di entusiasmanti colpi di scena.
Il rispetto del meccanismo narrativo del giallo classico e il suo patente tradimento (nella pressoché totale assenza di azione, nella brillante inverosimiglianza delle situazioni descritte, nella messe di rimandi letterari, nell’ordinata, quasi militaresca indistinzione di vero e falso) costituiscono, in aperta sfida al principio di non contraddizione, i pregi maggiori di un autentico, purissimo gioiello letterario.
Eccovi l’incipit. La traduzione, per Adelphi, è di Lucia Lorenzini. Buona lettura.
Il Capricorno, l’Acquario, i Pesci, l’Ariete, il Toro, meditava Achille Molinari, nel dormiveglia. Poi ebbe un attimo di incertezza. Vide la Bilancia, lo Scorpione. Capì di essersi sbagliato; si risvegliò tremando. Il sole gli aveva scaldato la faccia. Sul tavolino da notte, sopra l’Almanacco Bristol e alcuni numeri di La Fija, la sveglia Tic Tac segnava le dieci meno venti. Sempre ripetendo i segni, Molinari si alzò. Guardò fuori dalla finestra. All’angolo c’era lo sconosciuto.
Mi è piaciuto il commento, che, avendo letto diversi scritti di Borghes, trovo pertinente e aderente alla cifra letteraria ed.alla linea di scrittura borghesiana. In poche battute, tutto Borghes: l’erudizione, la frequente immedesimazione tra realtà e fantasia o invenzione o “finzione” all’insegna del significato poli senso della parola!