Recensione di “Wolf Hall” di Hilary Mantel
Gli anni di gioventù a Putney, segnati dalla povertà e dalla cieca violenza paterna. Poi la fuga, i viaggi; l’esperienza, la saggezza, la scaltrezza, la lungimiranza, l’arte sottile della pianificazione e la scienza del prestito a usura acquisite in Italia, nei commerci segreti con i banchieri, i cui registri contabili fitti di cifre reggono le sorti di imperi vastissimi, legittimano sovrani e condannano alle peggiori umiliazioni la nobiltà di sangue, troppo presa a glorificar se stessa per comprendere l’importanza del denaro e l’esercizio del potere sotteso al suo oculato utilizzo;
la pazienza e la capacità di persuadere, di prevalere in una negoziazione, l’abilità di mercanteggiare, d’accumular ricchezze e consolidarle apprese ad Anversa e nei Paesi Bassi; la virtù guerriera esercitata sui campi di battaglia, nei ranghi dell’esercito francese, ovunque il clangore delle armi e soprattutto il suo bisogno di misurarsi con la morte e di beffarla lo chiamassero a sé. E infine il ritorno a casa, in Inghilterra, dove lo attendono gli intrighi della politica, i doppi giochi che si consumano alla corte di Enrico VIII, sposo infelice, frustrato e privo d’eredi maschi di Caterina d’Aragona, le sotterranee guerre tra pari, gli amori, i tradimenti, le brame manifeste e quelle nascoste, e un incarico al servizio di uno degli uomini più potenti del Paese: il cardinale di Santa Romana Chiesa, arcivescovo di York e Lord Cancelliere Thomas Wolsey, cui resterà sempre fedele.
La parabola di Thomas Cromwell, la sua irresistibile ascesa (culminata con la nomina a Primo Ministro), magistralmente narrata dalla scrittrice e critica letteraria Hilary Mantel nel romanzo storico Wolf Hall – primo capitolo di una trilogia dedicata agli anni esaltanti e drammatici che segnarono la nascita della Chiesa Anglicana (sancendo la definitiva rottura tra l’Inghilterra e il papato romano), insignito nel 2009 del prestigioso Man Booker Prize for Fiction – cominciano di qui, dal sodalizio con Wolsey, potente custode degli affari (e delle angosce) del sovrano.
Alle prese con un materiale narrativo ricchissimo, eccezionalmente complesso e di suggestiva bellezza, Hilary Mantel dà vita a un vero e proprio capolavoro letterario; la ricercatezza dello stile, mai inutilmente fine a se stessa, è il perfetto contrappunto di un racconto incalzante, giocato su brevi quadri descrittivi di straordinario fascino e di raro splendore espressivo (“Le strade bagnate sono deserte, dal fiume arriva inesorabile la nebbia. Le nubi e l’umido soffocano le stelle. Sulla città si stende il putrido odore dolciastro dei peccati dimenticati di ieri”; “È la vigilia di Ognissanti: il mondo ai suoi margini stilla sangue. È il periodo in cui gli impiegati del purgatorio, i suoi segretari e i suoi carcerieri, restano in ascolto delle preghiere dei vivi per i morti […]. Il giorno di Ognissanti il dolore arriva a ondate. Minaccia di ribaltarlo. Non crede che i morti tornino, ma questo non gli evita di sentirsi sfiorare la spalla dalle loro dita, dalle loro ali. Sin dalla notte scorsa sono comparse non delle forme o delle facce specifiche, bensì una massa di carni che si urta e si scontra, con la soda consistenza delle creature marine e i visi segnati da un acquatico luccicore”).
Da questo sfondo, da questo palcoscenico di limpida perfezione formale, emergono, come volti inondati di luce nel palpitante chiaroscuro di tele caravaggesche, i caratteri dei protagonisti di una stagione che ha cambiato per sempre la storia della cristianità: la machiavellica astuzia di Wolsey, vittima delle ire del suo re, amato ma non accontentato nelle pretese che accampa, della rabbia di Thomas Howard, duca di Norfolk e dell’invidia del vile Charles Brandon, duca di Suffolk, cognato di Enrico; l’intransigenza cieca di Tommaso Moro, letterato e umanista di chiara fama, strenuo oppositore di Lutero e infine avversario del suo stesso sovrano, al quale rimprovera il divorzio dalla prima moglie Caterina (incapace di dargli un figlio maschio) e le seconde nozze con Anna Bolena; gli uomini e le donne di casa Bolena (in special modo Anna e la sorella Maria), ciascuno a proprio modo consumato dal desiderio di onori e privilegi e ciascuno acerrimo nemico del proprio congiunto; gli amici e i familiari di Cromwell, circondati da quel prezioso dono d’amore e compassione che i suoi anni di fanciullo non hanno conosciuto, e in ultimo Thomas Cromwell, che umbratile attraversa l’intero romanzo, presente (di più, incombente) tanto nelle studiate attese gonfie di silenzio quanto nel serrato argomentare a favore del re, dell’Inghilterra, dell’indipendenza di un Paese, di un popolo e della sua guida da una religiosità svuotata di ogni afflato spirituale e utile solo come instrumentum regnii.
Il rigore della ricostruzione storica e l’invenzione creatrice si confondono inestricabili nella lussureggiante scrittura di Hilary Mantel, capace di far rivivere ogni personaggio nello spietato agone del confronto dialettico; la violenza ideologica dei roghi, delle scomuniche, dell’ira dell’Onnipotente sospettata dietro ogni rovescio di fortuna, riverbera, nel magnifico affresco dell’autrice, in un contradditorio che non conosce requie, che al mutare dei contendenti non perde d’efficacia e restituisce intatto, al lettore di oggi, il fascino inesauribile e diabolico di un’età nella quale a plasmare Dio, mondo e uomini erano le parole, e la responsabilità che si assumevano coloro che le pronunciavano.
Wolf Hall è un’opera magistrale, un romanzo sontuoso e irresistibile, un letterario pranzo di gala che ci si augura non debba mai concludersi.
Eccovi l’incipit. La traduzione, per Fazi Editore, è di Giuseppina Oneto. Buona lettura.
«Alzati adesso». Sopraffatto, stordito, muto, cade a terra; stramazza sull’acciottolato del cortile. La testa si poggia di lato; gli occhi rivolti al cancello come se qualcuno potesse arrivargli in aiuto. Ora, a ucciderlo, basterebbe un colpo ben assestato. Dalla ferita alla testa – primo risultato ottenuto da suo padre – gli cola il sangue sul viso. A peggiorare le cose, l’occhio sinistro è accecato; ma se guarda con l’angolo del destro riesce a vedere la cucitura dello stivale paterno: il refe si è sfilato dal cuoio e un nodo coriaceo gli ha centrato il sopracciglio aprendovi un altro taglio. «Alzati adesso!» bercia Walter mentre calcola dove assestargli il prossimo calcio.