Recensione di “Il sacro amplesso” di Mario Brelich
“E Tare, essendo vissuto settant’anni, generò Abramo, Nahor e Haran. E queste sono le generazioni di Tare: Tare generò Abramo, Nahor e Haran; e Haran generò Lot. Or Haran morì in presenza di Tare suo padre, nel suo natio paese, in Ur de’ Caldei. Ed Abramo e Nahor si presero delle mogli; il nome della moglie di Abramo era Sarai; e il nome della moglie di Nahor, Milca, la quale era figliuola di Haran, padre di Milca e d’Isca. Or Sarai era sterile, e non aveva figliuoli […].
Poi, quando Abramo fu d’età di novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse: Io son l’Iddio Onnipotente; cammina davanti a me, e sii intero […]. Oltre a ciò Iddio disse ad Abramo: Quant’è a Sarai non chiamar più tua moglie Sarai; perciocché il suo nome ha da esser Sara. Ed io la benedirò, ed anche ti darò d’essa un figliuolo; io la benedirò, ed ella diventerà nazioni; e d’essa usciranno re di popoli […]. E Iddio disse: Anzi Sara, tua moglie, ti partorirà un figliuolo, e tu gli porrai nome Isacco; ed io fermerò il mio patto con lui, per patto perpetuo per la sua progenie dopo lui”.
Isacco, figlio di Abramo e Sara per volere di Dio, è il punto di partenza e d’arrivo de Il sacro amplesso di Mario Brelich, opera originalissima che è insieme romanzo, saggio, esegesi biblica e riflessione filosofica, lavoro multiforme che brilla tanto per raffinatezza stilistica e ricchezza di linguaggio quanto per puntualità e profondità d’analisi. E Isacco, quint’essenza del concetto stesso di miracolo, pietra angolare di quella fede arcaica e pura (l’unica fede possibile, a ben guardare) che è abbandono completo a Dio e alle sue deliberazioni, che è rinuncia alla volontà personale, all’arbitrio, finanche al semplice uso della ragione, diviene, nel mascheramento giocoso della prosa di Brelich, nella sua ironia sottile e tagliente, nel legame instabile tra sacro e profano, nel ruggire della carnalità dei due sposi contrapposta alla loro mistica confusa e solenne (specialmente a quella di Abramo, sempre ansioso di spiegare al suo Dio ciò che egli vede e conosce benissimo da sé), il filo d’Arianna dipanato all’interno di quell’imperscrutabile labirinto che è il disegno dell’Onnipotente.
Un disegno che non può non apparire, agli occhi ciechi delle sue creature, qualcosa di completamente folle, anzi, di più, “una balordaggine […] uno sproposito”, perché Abramo, nel momento in cui Dio decide fargli conoscere il suo volere, ha novantanove anni, e sua moglie Sara ottantanove; e se pure, come scrive Brelich nelle primissime pagine del suo romanzo, la devozione, il rispetto e l’amore di Abramo verso il Signore lo portano a cercare di misurare la propria straripante incredulità – “In mancanza di prove, Abramo non era sicuro al cento per cento delle proprie capacità generative” – ogni perplessità viene spazzata via non appena il pensiero corre a Sara, e a quel che la natura ha decretato per lei: “[…] che Sara non sarebbe stata più capace di concepire nel suo grembo, di questo egli era assolutamente sicuro, dato che era cessato a Sara ciò che sogliono avere le donne”.
Sulle tracce del miracolo della nascita d’Isacco, tra i tentennamenti d’Abramo e i tormenti di Sara, Brelich esplora la lettera e il senso del testo biblico, ricostruisce nei dettagli il tempo del mito e della fede, offre alla storia che racconta la corretta ambientazione (regalando al lettore pagine dense di fascino e suggestione) e parallelamente misura la parola di Dio, la sua trasfigurazione nel dettato religioso, nelle verità propugnate dalla chiesa, nel suo rapporto con la sensibilità d’oggi, con il codice morale della modernità: “Per la mentalità dei popoli civili di oggi”, scrive a proposito di un tema attualissimo qual è quello della crescita demografica (il romanzo, è bene ricordarlo, è del 1972), “prevenire, limitare, rinviare, o, addirittura, eliminare la nascita dei figli non è più una questione di coscienza religiosa e morale, bensì un problema eminentemente sociale ed economico […]. Si ha la netta impressione che il principio basilare della creazione, quello del ‘crescete e moltiplicatevi’, stia per crollare, o, ad ogni modo, sia passibile di trasgressioni e infrazioni, essendo soggetta la sua osservanza al giudizio o all’arbitrio dell’uomo […]. Così sembra essere la situazione di oggi e solo il più gretto oscurantismo non ne vuole prendere conoscenza. Rimarranno scandalizzati coloro che esercitano, quasi come una professione, lo scandalizzarsi; coloro che si compiacciono di essere più Papa del Papa stesso; coloro che confondono, il più delle volte a bella posta e in mala fede, la morale con forme convenzionali o tradizionali oggi diventate vuote di senso; e, naturalmente, anche coloro che, in buona fede, concepiscono il piano divino non come uno stratagemma dinamico, ma come un rigido sistema di principi etici, costruito sui vaghi concetti della infinita saggezza, bontà e giustizia divine”.
Eppure Isacco (il cui nome significa riso) nacque, la novantenne Sara partorì, la volontà di Dio trionfò, e con tutto ciò, con l’inesplicabile, la pacata saggezza di Brelich, il suo limpido ragionare, accetta di confrontarsi; il suo bellissimo romanzo, dunque, lungi dal difendere la fin troppo facile tesi dell’inattualità del Vecchio Testamento, invita tutti a riascoltare la parola di Dio, e a ricollocarla nella nuova dimensione del presente, dove, al di là di tutti i cambiamenti e le rivoluzioni, riposa intatto l’enigma di Isacco.
Eccovi, invece dell’incipit dell’opera, un estratto delle pagine finali, nelle quali l’autore di questo enigma prova a dare ragione. Buona lettura a tutti.
Col suo Isacco il Signore avrà riso di gusto e noi non possiamo trattenerci dal citare il vecchio adagio secondo cui ride bene chi ride ultimo. Un’interpretazione corrente dà del nome di Isacco il seguente significato: Dio ride per la vittoria riportata sui Suoi avversari. Un ingenuo penserebbe che, con un nome altisonante come questo, Isacco sarebbe diventato un celebre condottiero, o almeno che il popolo che da lui derivò avrebbe annientato gli Assiri, i Babilonesi, gli Egiziani, e tutte le nazioni che al posto dell’Unico vero e vivente avevano adorato dèi falsi e bugiardi. Ma tutto ciò non corrisponde ai fatti. Quel che è poi avvenuto in questo senso appartiene già alla storia d’un altro patto fra Dio e il genere umano, a quella del Nuovo Testamento. Il nome Isacco si riferiva evidentemente a una vittoria più immediata, più palpabile. Ma in quel momento storico, chi era l’avversario del Signore, un avversario molto più pericoloso degli idoli? La risposta, nell’ultima pagina del nostro racconto, è ormai facile: l’unico avversario che contava per il Signore era l’uomo stesso che, nei mitici personaggi di Abramo e di Sara, Gli aveva opposto una resistenza a oltranza. Nel mitico personaggio di Isacco, quest’uomo finì col deporre le armi e col piegare il collo sotto il giogo divino, accettando in pieno il patto antico. E in quel momento si fece sentire per la prima volta la risata trionfale del Signore! Col nome del figlio chiamato ‘Riso’ Dio eresse un monumento – e con la terribilità di esso anche un memento – alla propria vittoria riportata sull’uomo.