Recensione di “Bruciante segreto” di Stefan Zweig
La purezza di sentimenti di un bimbo, la verginità emotiva ed etica di chi si affaccia alla vita contrapposte all’arte della menzogna, alla dissimulazione, alla viltà degli adulti. Il netto, inequivocabile universo di un ragazzino impaziente di farsi uomo confrontato con la realtà sfumata, indistinta, densa di misteri e inganni dei “grandi”, le cui azioni troppo spesso tradiscono le parole dette e la cui pretesa sincerità non è che un mezzo speso in vista dell’ottenimento di un fine. Corre lungo questo strettissimo sentiero che divide virtù e vizio e che segna, nel percorrerlo, l’inevitabile perdita dell’innocenza e l’ingresso (altrettanto inevitabile) in un contesto sociale in egual misura stritolato dalla spietata logica del compromesso e dall’atavica, istintiva, feroce difesa dell’interesse personale, l’intenso Bruciante segreto di Stefan Zweig, cupa cronaca di un “risveglio”, di una “scoperta di sé”, tenebroso compimento di un rito di passaggio carico di dolore e rimpianto. Protagonisti di questo splendido e incalzante racconto sono due età della vita, due stagioni dell’esistere – che l’autore schiera l’una contro l’altra come fossero eserciti nemici pronti ad affrontarsi sul campo di battaglia – incarnate in personaggi nei quali, seppur per opposte ragioni, a prevalere sono le emozioni, non il raziocinio; da una parte il dodicenne Edgar, sognatore inquieto, bisognoso d’attenzioni e d’affetto, alle prese con una difficile convalescenza che influisce anche sul suo umore oltre che sul suo fisico debilitato, dall’altra un vanesio nobiluomo del tutto privo di attrattive e qualità, schiavo di una sensualità volgare, immediata, che lo spinge a cercare sempre avventure galanti, a mettere in gioco il proprio fascino collezionando conquiste. Tra i due contendenti – in un primo tempo amici per iniziativa dell’uomo, che avvicina il piccolo per poter in un secondo momento ottenere, proprio grazie alla sua inconsapevole mediazione, l’attenzione (e i favori) di sua madre, donna non più giovane ma ancora assai bella (e infelice a causa di un matrimonio ormai da tempo orfano d’amore), poi, una volta che la bieca strategia del barone viene scoperta, implacabili avversari – oggetto insieme di brama e di ripulsa, proprio la donna, irrisolta, confusa, disordinata nel suo sentire, lusingata al pensiero di essere ancora appetita e nello stesso tempo impaurita (e impaurita proprio perché attratta) dalla prospettiva di un tradimento, forse l’ultimo possibile. Introdotti i protagonisti della storia, Zweig, narratore abilissimo, lascia che a parlare siano le pulsioni; in pagine di straordinaria raffinatezza, dove il peso dei discorsi diretti è quasi ininfluente, egli coniuga magistralmente ricchezza stilistica e acutezza d’analisi; l’impulsività dei personaggi, il “primo motore immobile” che è causa di ogni loro azione e che come unica scaturigine ha il desiderio, il cieco volere, dà origine a mondi tra loro inconciliabili, ad architetture fantastiche di pensieri febbrili che terrorizzano come incubi.
Giocatori impegnati in un’invisibile partita a scacchi condotta con l’impeto di un’immaginazione infiammata e scomposta e non (come invece dovrebbe essere) con la pacata lucidità del ragionamento, Edgar, sua madre e il nobiluomo svelano se stessi (loro malgrado) nei silenzi imbarazzati e che caratterizzano i loro incontri, nel forsennato bruciare delle elucubrazioni che preludono alle azioni, alle decisioni, agli attacchi e alle contromosse; e in un continuo rovesciamento di fronte e di prospettive che la prosa incalzante, tumultuosa di Zweig presenta al lettore in un susseguirsi di differenti punti di vista, nel labirintico gioco di specchi di un medesimo dato di fatto che muta al mutare di colui che lo osserva e lo giudica, ecco che anche i personaggi si confondono tra loro, che l’adulto torna ragazzo, e il ragazzo, quasi senza volerlo (e soprattutto avvedendosene soltanto a cose fatte), si fa uomo. Così, il dispetto del nobiluomo e della madre, ormai decisi a divenire amanti ma impossibilitati a lasciarsi andare dall’ossessiva presenza di Edgar, che, scoperto il malvagio disegno ordito ai suoi danni decide di non lasciare più soli, nemmeno per un istante, i due, ricalca la delusione stizzita vissuta solo poche pagine prima dal piccolo, “sedotto” e poi abbandonato dal suo nuovo amico non appena egli, grazie a questo stratagemma, riesce a entrare nelle grazie della madre; e allo stesso modo, ecco l’astuzia vista all’opera nell’uomo al principio del racconto divenire arma affilatissima e implacabile in quel bambino che da un istante all’altro ha cessato d’esser fanciullo. Mentre la tragedia, come un temporale sul punto di scatenarsi, attende solo l’ormai prossimo accendersi della mortale scintilla.
Superbo romanzo d’atmosfera (tanto breve quanto travolgente), Bruciante segreto, tradotto per Adelphi da Emilio Pico, è un autentico gioiello letterario, un’opera difficile da dimenticare. Eccovi, come, sempre l’incipit.
La locomotiva diede un fischio rauco: era giunta al Semmering. Per un minuto le carrozze nere sostarono nella luce argentea della montagna, scaricando e poi inghiottendo una variopinta umanità, un incrociarsi di voci stizzose, quindi in testa fischiò di nuovo la macchina rauca e sferragliando trascinò giù nella cavità del tunnel il suo codazzo nero.