Recensione de “La saggezza di Padre Brown” di Gilbert Keith Chesterton
Danzano sul sottile filo d’acciaio di un’ironia garbata e pungente, di un sarcasmo compiaciuto che sembra voler fare da contraltare all’oscurità del delitto, all’ombra del male, di una serenità quieta, incardinata nella certezza trascendente della fede e nello stesso tempo vestita della medesima imperfezione che è degli uomini, i racconti che compongono la seconda raccolta delle avventure di Padre Brown, intitolata La saggezza di Padre Brown (della prima raccolta, Il candore di Padre Brown, ho già scritto qui). In queste splendide, piccole storie, narrate con assoluta maestria, impreziosite da uno stile ricco ma mai ridondante, capace di regalare all’essenzialità dell’intreccio il lusso di una forma rigogliosa, e dove i colpi di scena e le sorprese più che stupire, sorprendere il lettore, hanno la capacità di affascinarlo, di sedurlo, come potrebbe fare uno spettacolo naturale (una meraviglia certo, che tuttavia sorge da un ordine, come l’effetto dalla sua causa), il protagonista, quel mite sacerdote che il genio creativo del suo autore ha reso immortale, pur senza essere in nulla diverso dal personaggio conosciuto e amato nel precedente lavoro, appare più delineato, come se Chesterton (o il lettore, da lui sapientemente guidato) fosse riuscito a metterlo maggiormente a fuoco. Immancabilmente al centro della scena, al cuore di ciò che accade – e come potrebbe essere altrimenti? – e insieme ai suoi margini, in qualche misura evocato da quel che accade, quasi che i drammi (e, va da sé, gli omicidi), come formule magiche di un goffo apprendista stregone, avessero non solo la facoltà di materializzarlo, ma anche il potere di farlo agire, donandogli qualcosa di molto simile a una divina infallibilità, Padre Brown emerge dal contesto che il suo autore si preoccupa di disegnare nei minimi dettagli.
Quel che serve a questo eroe del tutto privo di tratti eroici è dunque già apparecchiato in tavola, pronto per essere studiato, esaminato, scoperto; in questo senso, i racconti di Chesterton contenuti ne La saggezza di Padre Brown sono veri e propri quadri, microcosmi perfetti in grado di esistere in piena autonomia, mondi disgregati da un atto di violenza che si aprono, indifesi, all’occhio indagatore dell’ospite inatteso, dell’ultimo arrivato, rimasto fino a un attimo prima in paziente attesa del suo momento. Ecco allora che la saggezza di Padre Brown, l’elemento nuovo (che perturba, naturalmente, ma per ricondurre ogni cosa all’ordine) di un insieme che sembrava concluso e autosufficiente senza esserlo veramente, emerge e si fa notare proprio come, nei primi racconti, era sorto il candore (cioè l’uomo attraverso la sua qualità), in una struttura uguale e contraria a questa, nella quale risultava invertito il rapporto tra protagonista e ambiente; ecco che d’improvviso tutte le luci del palcoscenico convergono su Brown, perché da qui in avanti saranno la sua saggezza, il suo acume, e in pari tempo la sua pietà, a restituire razionalità e giustizia a un caos brutale che inavvertito respirava sotto un manto di illusoria normalità: “La sala di ricevimento del dottor Orion Hood, l’eminente criminologo e specialista in alcuni disturbi mentali, si affacciava sul lungomare di Scarborough con una serie di ampie porte-finestre ben illuminate che facevano apparire il Mare del Nord come una muraglia senza fine di marmo verde-blu. In un luogo simile il mare possedeva qualcosa della monotonia di un plinto verde-blu: infatti la sala presentava dovunque un ordine pignolo, non dissimile da quello del mare. Non si deve però supporre che le stanze del dottor Hood escludessero il lusso o l’arte. Quegli elementi erano presenti, ognuno al suo posto; però, chiunque avrebbe subito percepito che non era mai stato permesso loro di essere fuori posto […]. Due uomini comparvero simultaneamente alle due estremità di una specie di vicolo che correva lungo il lato del Teatro Apollo, nell’Adelphi. Il tramonto spandeva nelle strade una luce ampia, opalescente e vuota. Il vicolo era lungo e scuro, così che ciascun uomo poteva vedere l’altro solo come un semplice contorno nero all’altra estremità. Nonostante ciò, ciascuno riconosceva l’altro, persino in quelle figure nere come l’inchiostro; infatti erano entrambi uomini dall’aspetto formidabile e si odiavano a vicenda”.
Pur essendo senza alcun dubbio dei gialli, i racconti de La saggezza di Padre Brown sfuggono a una definizione precisa; divertono, proprio come potrebbe farlo qualsiasi novella brillante, appassionano, quasi fossero romanzi d’avventura, coinvolgono, perché in ognuno di essi è profonda l’indagine psicologica, e naturalmente non mancano d’inquietare. Mondi, si diceva, all’interno dei quali, con irresistibile eleganza, Gilbert Keith Chesterton, per bocca di Padre Brown, invita i lettori a entrare.
Eccovi l’inizio di quello che considero il lavoro migliore della raccolta, L’insalata del Colonnello Cray. La traduzione è di Nicoletta Neri. Buona lettura.
Padre Brown stava tornando a casa a piedi dopo la Messa, in una mattina bianca e sinistra, in cui le brume si alzavano lentamente, una di quelle mattine in cui gli stessi singoli elementi della luce appaiono come qualcosa di misterioso e di nuovo.