Vai al contenuto
Home » Recensioni » Giallo » I milanesi ammazzano (non solo il sabato)

I milanesi ammazzano (non solo il sabato)

Recensione di “Venere privata” di Giorgio Scerbanenco

 

recensione Venere Privata di Giorgio Scerbanenco
Giorgio Scerbanenco, Venere Privata
 

Duca Lamberti è un medico. Ed è anche un ex galeotto. Ha scontato tre anni di reclusione (ed è stato radiato dall’albo di categoria) per aver aiutato a morire una malata terminale. Ha violato la legge; ha osato smascherare l’ipocrisia perbenista della norma, che tollera qualsiasi cosa, purché compiuta nel perfetto silenzio e nel totale anonimato, ma non può accettare né sopportare chi, alla luce del sole e armato soltanto della propria coerenza, è pronto ad assumersi, per intero, la responsabilità delle proprie scelte.


L’universo morale di Duca Lamberti, splendido e indimenticabile personaggio inventato da Giorgio Scerbanenco e protagonista di quattro romanzi gialli (Venere privata, Traditori di tutti, I ragazzi del massacro e I milanesi ammazzano il sabato), è limpido, immediato; è impastato del dolente, disincantato realismo di chi conosce gli uomini e le mostruosità di cui sono capaci, e nello stesso tempo animato dalla rabbiosa volontà di non arrendersi al dolore, al disgusto, al male che, come per un diabolico pervertimento della natura, sembra germogliare dalle persone con impressionante fecondità. Così combatte, anche se sa di non poter vincere; cerca come può di arginare la marea.

L’eroismo di Lamberti è asciutto e scosso da brividi di stanchezza; non ha nulla di nobile, è soltanto la voce di un uomo che si leva ostinata a spezzare il silenzio di chi, per paura o per convenienza, resta a guardare gli orrori da cui è circondato, o peggio volta la testa dall’altra parte. E quella voce, nel gonfio verminaio di Milano, è come se chiamasse a raccolta spiriti affini, uomini e donne dimenticati tra strade e piazze che in qualche modo resistono, con coraggio, con tenacia, non importa a quale prezzo. Perché rinunciare al fardello della propria umanità equivale a perdere tutto. Sono uomini con cui sentirsi fratelli, e donne da amare, come Livia Ussaro, pronta a pagare fino in fondo la fedeltà a se stessa.

Tutto questo, le persone e la città nella quale si muovono, vivono e muoiono, che di volta in volta nasconde e svela abissi di abiezione, fragilità, ansie di vendetta, urgenze di giustizia e laceranti solitudini, Giorgio Scerbanenco lo racconta con crudo realismo ma senza impersonale freddezza. La sua scrittura, che molto deve all’essenzialità della cronaca nera, ha la dettagliata precisione dello scatto fotografico e la sensibilità del ritratto disegnato, della scelta del chiaroscuro, del particolare da evidenziare. Conquista il lettore spalancandogli gli occhi, mostrandogli che non esiste scarto tra le pagine che legge e il mondo che abita, dicendogli che probabilmente non c’è soluzione al male, che alla tragedia non si sfugge. Ma è proprio questa consapevolezza a escludere ogni possibilità di rinuncia: solo nei romanzi mediocri si lotta per vincere, nella realtà ci si batte per riuscire a vivere, o almeno per provare a farlo dignitosamente.

Venere privata, prima “inchiesta” di Duca Lamberti, è un romanzo bellissimo, che una volta iniziato non si riesce ad abbandonare. È il principio di un viaggio che vorrete percorrere fino in fondo.

Eccovi l’incipit dell’opera. Buona lettura

«Come si chiama lei?»

«Marangoni Antonio, io sto lì, alla Cascina Luasca, sono più di cinquant’anni che tutte le mattine vado a Rogoredo in bicicletta».

«Non stare a perdere tempo con questi vecchi, torniamo al giornale».

«È lui che ha scoperto la ragazza, ce la può descrivere, se no dobbiamo passare all’obitorio e siamo in ritardo».

«Io l’ho vista quando è arrivata l’ambulanza, era vestita di celeste».

«Vestita di celeste. Capelli?».

«Scuri, ma non neri».

«Scuri, ma non neri».

«Aveva dei grandi occhiali da sole, rotondi».

«Occhiali da sole, rotondi».

«Non si vedeva quasi niente del viso, era coperto dai capelli».

«Andate via, non c’è niente da vedere».

«Non c’è niente da vedere, l’agente ha ragione, torniamo al giornale».

«Andate via, andate via. Non dovete andare a scuola?».

«Già, qui è pieno di ragazzini».

«Quando sono arrivato io si sentiva odore di sangue».

«Dica, dica, signor Marangoni».

«Si sentiva odore di sangue».

«Naturale, era dissanguata».

«Non si sentiva nessun odore, era passato troppo tempo, siamo arrivati qui con la camionetta».

«Dica, dica, agente».

«In questura vi dicono tutto, io sono qui per tenere lontano questa marmaglia, non parlo coi giornalisti. Ma non c’era odore di sangue, non ci può essere».

«L’ho sentito io, e ho il naso buono. Sono sceso di bicicletta perché dovevo spandere acqua, ho appoggiato la bicicletta in terra».

«Dica, dica, signor Marangoni».

«Mi sono avvicinato a quei cespugli, ecco, proprio quelli, e così ho visto la scarpa, il piede, insomma».

«Andate via, circolate, non c’è niente da vedere, tutta questa gente per vedere un pezzo di prato vuoto».

«Io al principio ho visto solo la scarpa, il piede dentro non lo vedevo, ho allungato la mano».

«Alberta Radelli, ventitré anni, commessa trovata a Metanopoli, località Cascina Luasca, il cadavere è stato scoperto alle cinque e mezzo del mattino dal signor Marangoni Antonio, abito celeste, capelli scuri ma non neri, occhiali rotondi, io comincio a telefonare questo, poi torno a riprenderti».

«Allora ho sentito che dentro la scarpa c’era il piede e sono rimasto male, ho scostato tutte quelle erbacce e l’ho vista, si capiva subito che era morta.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *