Recensione de “La valle dell’Eden” di John Steinbeck
“Il romanzo di maggiore risonanza del secondo dopoguerra è […] East of Eden (La valle dell’Eden), grande affresco sociale […] strutturalmente vario e complesso, che segna un momentaneo ritorno tematico alla California. Secondo Laura Hobson, Steinbeck lo concepisce con l’intento di dedicarlo ai figli, per far loro conoscere la storia della migrazione dei propri antenati che intrapresero il cammino verso l’Ovest dopo la guerra civile.
Poi il progetto gli si ingrandisce tra le mani mutando radicalmente: la storia familiare si trasforma così nella saga di due famiglie californiane, gli Hamilton e i Trask, che in tempi diversi si stabiliscono nella Salinas Valley. Le vicende dei loro componenti si susseguono in modo alterno lungo un vasto arco di tempo, dal 1860 al 1920 […]. Nella sua configurazione attuale, il romanzo si presenta come una sorta di summa dei temi che Steinbeck affrontò nel corso della sua lunga attività letteraria. Dunque, un’opera riassuntiva, panoramica, sorretta peraltro da poderose ambizioni etico-filosofiche […]. Il senso del racconto principale […] è chiaro […] Steinbeck ha voluto porre in risalto il contrasto tra le forze del bene e quelle del male che a suo avviso governano la vita degli uomini in tutti i tempi e in tutti i luoghi”. Così, nell’introduzione all’edizione italiana de La valle dell’Eden pubblicata da Mondadori nella traduzione di Giulio De Angelis, si riassume il significato di questo splendido romanzo del grande autore americano, un romanzo che è un’unica, intensa riflessione su ciò che si è essenzialmente, e più ancora su quel che determina ciò che si è.
Il tema cardine de La valle dell’Eden è la scelta, la possibilità di scegliere che è data all’uomo (e dunque la valenza positiva del libero arbitrio, e con essa la responsabilità a un tempo terribile e salvifica che sempre lo accompagna) e, partendo da essa, tutto quel che ne consegue. Steinbeck dona respiro epico alla sua prosa; ispirato celebra la bellezza eterna della natura, si fa cronista della storia, ne osserva il maestoso procedere e in esso inquadra un’altra storia, quella minima, debole e opaca (eppure indispensabile, ineludibile) degli esseri umani. Ed ecco che i suoi personaggi sono sia i protagonisti del suo narrare sia i simboli di ciò cui il suo narrare tende, della meta che egli si prefigge; in qualche misura, La valle dell’Eden è, fin dall’esplicito richiamo del titolo, una storia del mondo vista attraverso personaggi che nel mondo sono già stati gettati, che hanno conosciuto e conoscono la colpa e i cui spiriti, pur soffrendo acutamente le trafitture del rimorso, hanno in sé nobiltà bastante per rialzarsi dopo una caduta.
Non a caso, il centro di gravità dell’opera è la cruciale discussione che si svolge tra l’anziano Samuel Hamilton, saggio patriarca di una famiglia tanto numerosa quanto povera, nella quale tuttavia mai è mancato il nutrimento primario dell’amore e del reciproco rispetto, Adam Trask, uomo disarmato dalla sua stessa bontà, marito infelice dell’enigmatica, perfida Cathy, dominata da una malvagità innata, assoluta e inestinguibile, consumata da un odio prepotente, implacabile carnefice del suo prossimo e vittima inconsapevole della propria straripante malvagità e Li, servitore cinese della famiglia Trask, profondo conoscitore dell’animo umano, incentrata su quale significato esattamente dare alla storia di Caino e Abele e dunque, in ultima analisi, su cosa ci insegni, su cosa ci trasmetta. “La storia”, racconta Li ai suoi ascoltatori, “mi fece una grande impressione e me ne sono impadronito parola per parola. Più ci pensavo sopra, e più mi pareva profonda. Poi confrontai tutte le traduzione che abbiamo, ed eran tutte molto vicine. Solo un punto mi lasciava perplesso. La versione del Re Giacomo dice così: è il punto in cui Geova ha chiesto a Caino perché sia sdegnato. Geova dice: ‘Non è egli vero che se farai bene avrai bene; e se farai male, il peccato sarà subito alla tua porta? Ma sotto di te sarà il desiderio di esso, e tu avrai modo di dominarlo’. È quel ‘avrai modo’ che mi ha colpito, perché era una promessa che Caino avrebbe vinto il peccato […]. Poi mi son procurato una copia della Bibbia americana […] e questo passo era molto diverso. Dice: ‘Abbi la signoria sopra di lui’. Dunque è molto diverso. Questa non è una promessa, è un ordine. E io […] mi chiedevo quale potesse essere la parola originale dello scrittore originale e come fossero potute venir fuori traduzioni così diverse […]. Andai a San Francisco al quartier generale della nostra associazione di famiglia […]. Dopo due anni sentimmo di poterci accostare ai famosi sedici versetti del quarto capitolo della Genesi […]. E questo fu l’oro che scavammo: ‘Tu puoi’. ‘Tu puoi avere la signoria sopra il peccato’. […]. La traduzione americana della Bibbia ordina agli uomini di trionfare sul peccato, e il peccato si può chiamare ignoranza. La traduzione del Re Giacomo fa una promessa con quel ‘tu avrai’, intendendo che gli uomini trionferanno sicuramente sul peccato. Ma la parola ebraica, la parola timshel – tu puoi – implica una scelta. Potrebbe essere la parola più importante del mondo. Significa che la via è aperta. Rimette tutto all’uomo. Perché se ‘tu puoi’, è anche vero che ‘tu non puoi’. Non vedete?”.
La scelta è il lascito di Dio all’uomo cacciato dal Paradiso Terrestre. Tu puoi è quell’angolo d’Eden che egli deve all’infinita misericordia del Padre.
Eccovi l’incipit del romanzo, buona lettura.
La valle del Salinas è nella California settentrionale. È un canalone lungo e stretto tra due file di monti, e il fiume Salinas si snoda e si contorce lungo tutta la valle fino a sfociare nella baia di Monterey.
L’ha ribloggato su Le Trame del destino: Libri e dintorni.