Recensione di “La morale popolare greca all’epoca di Platone e Aristotele” di Kenneth James Dover
“In uno degli ultimi capitoli dell’Introduzione alle Lezioni di storia della filosofia, incentrato sulla «Distinzione della filosofia dalle altre discipline affini», Hegel distingue tra «filosofia» e «filosofia popolare» e indica come tipicamente pertinenti a quest’ultima gli scritti di Cicerone […]. Quando poi cerca di render chiara la differenza tra filosofia propriamente detta e filosofia popolare, indica un carattere tipico della riflessione etica ciceroniana, e cioè l’assiduo ricorso all’autorità del consensum gentium […].
È il criterio per cui è «vero» (ma anche «buono», «giusto», e inversamente «turpe», «iniquo», ecc.) ciò che tale appare ad una vasta comunità di persone, e che quindi non necessariamente, e forse anzi di rado, collima con la riflessione filosofica del singolo pensatore. Nel che appunto risiede, per Hegel, la sua «popolarità». «Popolare» è dunque, secondo questa intuizione hegeliana, un pensiero o un sistema di valori, un’etica in primo luogo […] che intenda corrispondere alle convinzioni e alle inclinazioni di un vasto gruppo sociale, una «maggioranza» (che sia o si senta tale in ragione del proprio peso sociale e culturale)”. La distinzione hegeliana tra elaborazione di un pensiero e condivisione di una generica serie di norme e codici comportamentali, così ben riassunta da Luciano Canfora, costituisce tanto il punto di partenza quanto il fondamento dell’importante saggio di Kenneth James Dover intitolato La morale popolare greca all’epoca di Platone e Aristotele (edizioni Paideia, traduzione di Livio Rossetti), uno studio corposo e dettagliatissimo (oltre 500 pagine che si leggono d’un fiato e appassionano quanto e più di un romanzo) che intende indagare, e fare luce per quanto possibile, il tessuto etico di una società di cui Platone e Aristotele sono, prima ancora che cittadini eminenti, simbolo di un preciso tempo storico.
Come spiega lo stesso Dover nell’introduzione al suo lavoro, “Accadde che nel 1970 io fossi invitato dal Council for Philosophical Studies a prender parte ad un seminario a Colorado Springs su vari aspetti della filosofia greca e questo invito […] mi offrì l’opportunità di descrivere quelli che mi sembravano i tratti più interessanti e rilevanti della morale (esplicita e implicita) presente nella letteratura non filosofica del periodo in cui vissero Platone e Aristotele […]. Sono rimasto molto sorpreso nel rilevare quanto poco si fosse scritto su questo argomento. Ci sono, ovviamente, molti libri sulla storia dei concetti morali nell’antica poesia greca e nella tragedia attica; in altri libri si studia l’evoluzione di questi concetti negli storici e nei filosofi e alcuni di loro ammettono nel novero Isocrate come filosofo onorario; in altri ancora ci si occupa dei concetti giuridici sottesi alla pratica giudiziaria; ma nessuno, a quanto mi risulta, si è mai servito delle opere scritte per persuadere o per divertire un vasto pubblico come documentazione primaria sul conto delle valutazioni morali fatte dal cittadino ateniese medio negli anni in cui Platone scriveva la Repubblica o Aristotele l’Etica Nicomachea”.
Quel che il filologo britannico (scomparso nel 2010) compie nello scrivere La morale popolare greca all’epoca di Platone e Aristotele si può dunque considerare una sorta di rivoluzione; leggerlo, inoltrarsi, guidati da lui, nel labirinto di tradizioni e credenze considerate e vissute come patrimonio comune di un popolo (e in alcuni casi talmente interiorizzati da incidere sulla quotidianità, o su costumi di fondamentale importanza, come per esempio quelli sessuali, a proposito dei quali l’autore scrive: “quantunque sarebbe estremamente fuorviante dire che Afrodite è «soltanto» una personificazione del desiderio sessuale ed Eros «unicamente» la personificazione dell’esperienza dell’innamoramento, è vero che gli scrittori greci talvolta ne parlano in termini che, in traduzione, sono riconducibili a nomi comuni; ad Eros si possono attribuire le caratteristiche della persona di cui altri si innamorano o dell’amante […]. Fra i nomi astratti che indicano emozioni, forze o condizionamenti, ce ne sono alcuni (ad es., Pace, Persuasione) che è comunissimo personificare, altri (ad es., Zelo, Invidia) che sono personificati più raramente; non ce n’è nessuno sul conto del quale oseremmo affermare che non li incontreremo mai personificati in qualche documento o opera d’arte greca che possano venire alla luce in futuro”) significa scoprire che tutto ciò che siamo ci siamo abituati a ritenere l’ambito di riferimento dell’etica pubblica (le straordinarie narrazioni del mito in primo luogo, e naturalmente le opere dei filosofi) è in realtà qualcosa di molto lontano, quando non di perfettamente estraneo alla sua costruzione. Così, ecco che ci viene proposta una nuova genesi di concetti centrali del pensiero greco; il “buono” e il “bello”, il kalós kai agathós che è il canone stesso della perfezione, e di seguito il “giusto” (che ancora una volta nella riflessione filosofica coincide con il “vero” e con il “bene” e dunque la “virtù”), genesi che a sua volta porta all’elaborazione di modelli comportamentali per noi inediti e sorprendenti, anche a livello linguistico (basti pensare proprio al termine agathós, che in quanto virtù militare assume il significato di “coraggioso”, “dotato di ardimento”):
La morale popolare greca all’epoca di Platone e Aristotele non è naturalmente una lettura per tutti; ma per chiunque abbia anche solo una superficiale conoscenza del mondo greco e dell’importanza della sua eredità, questo testo, per quanto datato, si rivela ancor oggi un’opera di enorme valore, impreziosita (e non è cosa da nulla) da una scrittura semplice e scorrevole, tanto piacevole quanto ricca e penetrante.
Eccovi l’incipit. Buona lettura.
Se provo a far come mi pare, spesso va a finire che frustro, di necessità, le aspirazioni di qualcun altro. Ebbene, per «morale» di una società intendo i princìpi, i criteri e i valori che sono alla base delle sue reazioni di fronte a questa esperienza così familiare. Per «filosofia morale» o «etica» intendo la riflessione razionale e sistematica intorno alla relazione tra morale e ragione; gli altri tipi di riflessione razionale sulla morale li assegno alla linguistica, alla psicologia e alla sociologia.