Recensione di “Qualcuno alla porta” di Geoffrey Holiday Hall
Una gelida atmosfera di paura. Una minaccia sorda che sembra essere ovunque, che ristagna come nebbia lungo le strade, invade l’illusoria quiete degli appartamenti, avvelena le conversazioni, corrompe le confessioni e i segreti trasformandoli in ricatti.
Una presenza obliqua, sfuggente eppure concreta, imposta dal momento presente, dalla situazione, dallo stato dei fatti e insieme nuova, altra, creata ad arte, studiata, adattata a particolari esigenze, messa a punto nel mondo in cui si mette a punto un’arma: con metodo, pazienza, precisione e in vista di un ben preciso fine. È la paura, evocata fin dalle primissime righe, la protagonista di Qualcuno alla porta, thriller, spy story, romanzo d’avventura e perfino mystery, opera dello scrittore statunitense Geoffrey Holiday Hall. Egli la evoca sia nel particolare, ricorrendo a sapienti descrizioni d’ambiente, sia a livello generale, scegliendo come teatro narrativo della sua storia la città di Vienna nell’immediato secondo dopoguerra e conducendo il lettore nella sua labirintica scacchiera burocratico-militare fatta di zone di influenza (e di conseguenti zone proibite) all’interno delle quali le potenze che avevano sconfitto il nazismo erano libere di spadroneggiare e soprattutto di spiarsi l’un l’altra con ogni mezzo.
In questa città vinta, dove l’opulenza è sempre, immancabilmente straniera e nella quale si respirano a ogni angolo umiliazione, fatica di vivere e muto risentimento, una coppia americana giunge per affari. Lui, Casey, lavora con profitto per la ditta di import-export del suocero, lei, Felicia, moglie devota e innamorata, lo segue nei suoi viaggi. Approfittandone per conoscere la storia tragica e millenaria del vecchio Continente e per imparare quante più lingue possibile. Ma al loro ultimo arrivo nella capitale austriaca, dove la memoria della catastrofe hitleriana oscilla tra vergogna e rabbioso rimpianto, i due si ritrovano, quasi senza accorgersene, coinvolti in un disegno oscuro, che presto comincia a mietere vittime. Casey, contattato al telefono da un uomo misterioso, viene invitato a un appuntamento: l’uomo, gli viene detto, ha informazioni importanti su un recente delitto, nel quale sembra essere in qualche modo coinvolto anche un dipendente dell’ambasciata statunitense, suicidatosi. Non appena, superato un iniziale tentennamento, il commerciante decide di mettersi in gioco, ecco che la situazione gli sfugge di mano; il suo contatto, disposto a rivelare tutto quello che sa solo in cambio di un visto che gli consenta di lasciare l’Austria, muore subito dopo l’incontro mentre lo smarrito americano, che di colpo comprende cosa voglia dire essere straniero in una città dilaniata e pericolosa e legato a essa soltanto dall’esilissimo filo di una lingua masticata con enorme difficoltà, si ritrova suo malgrado costretto a vestire sia gli impegnativi panni del detective sia quelli ben più scomodi della preda.
Nel narrarne le avventure, la cui drammaticità cresce proporzionalmente all’infittirsi di un disegno che vede coinvolte spie, uomini disperati e persone prive di scrupoli, capaci di ogni nefandezza pur di ottenere quello che desiderano, Holiday Hall veste la semplicità della sua prosa di disincantato umorismo; traccia, nelle psicologie dei singoli, vizi e virtù dei popoli cui appartengono e gioca con le possibilità e i limiti della lingua (e con le implicazioni che le difficoltà d’espressione hanno in contesti nei quali è importantissimo, o meglio vitale, essere chiari, anzi inequivocabili) nelle lunghe parentesi di dialogo tra americani e austriaci, orfani della salvifica mediazione di una lingua terza decentemente parlata da tutti. Ma alla fine, a far capolino al di là della paralizzante paura di Vienna, sono l’ottimismo invincibile e l’insistenza ferrea (propria dell’uomo d’affari) dell’americano purosangue Casey; sarà infatti grazie a lui, infatti, che i nodi verranno al pettine, e che tanto l’omicidio con cui si apre il romanzo, quanto il suicidio che lo ha seguito e le altre morti che a essi sono legate in una spirale alimentata dal dolore più che dall’odio, troveranno una spiegazione, una ragione, un perché.
Eccovi l’incipit del romanzo. La traduzione, per Sellerio, è di Stefania Bruno. Buona lettura.
In principio c’era terra e pietra ed una goccia d’acqua. La terra e la pietra ristanno, ma l’acqua si muove, cresce. Si fa rivolo e torrente, il torrente diventa fiume. Ci sono molti fiumi. Uno è in Danubio, un altro è la paura.