Recensione di “Il sentiero” di Peter May
Il filo spezzato dei ricordi. La verità nascosta da un’amnesia, da un passato che scompare d’improvviso per lasciare posto a un immediato che si fa abisso, a un qui e ora fatto di nulla, a un folle accumularsi di sensazioni per le quali non esiste spiegazione. L’urgenza dei bisogni del corpo, della sofferenza della carne, la sete da placare, la fame che lascia senza fiato, il freddo che non si riesce a combattere, lo stordimento di una stanchezza cui è quasi impossibile resistere; e in mezzo a tutto questo l’enigma insolubile della propria identità perduta. Ma perduta quando? Perduta dove? E più di tutto, per quale ragione perduta?
Si apre così, con queste domande terribili, rese ancora più spaventose dalla consapevolezza che non esiste, per nessuna di esse, risposta immediata, e che forse non ne verrà mai trovata alcuna, Il sentiero di Peter May, thriller mozzafiato che ancora una volta, come già accaduto per la bellissima Trilogia di Lewis (i cui romanzi trovate recensiti in questo blog; L’isola dei cacciatori di uccelli qui; L’uomo di Lewis qui e L’uomo degli scacchi qui) ha per protagonista l’isola di Lewis e Harris, nell’arcipelago delle Ebridi Esterne. Fin dal principio May porta il lettore nel cuore della storia narrata; un uomo, infatti, il personaggio principale, riprende i sensi su una spiaggia; è completamente bagnato, privo di forze, e non ha idea di chi sia. Il mistero, dunque, è una cosa sola con colui che dovrebbe scioglierlo, o meglio, è incarnato dalla persona che ha il compito di risolverlo; per questo May sceglie di raccontare in prima persona, per restituire in tutta la sua complessità e potenza il senso di spaesamento e terrore che prova il suo personaggio, e poi, poco alla volta, per trasmettere la precarietà di ogni nuova conoscenza acquisita, la difficoltà con la quale il più piccolo dettaglio relativo a quella che è stata la propria vita e che ora non è più nulla viene recuperato, e non ultimo la disperazione da cui si viene travolti nel momento in cui la strada che si è deciso di imboccare si rivela una falsa pista.
E allora chi è l’uomo che il mare ha restituito quasi in fin di vita a una spiaggia di Lewis? Perché è lì? Cosa gli è accaduto? Potrebbe essere uno scrittore, o un ricercatore impegnato a scrivere un libro sulla misteriosa scomparsa, verificatosi nel 1900, di tre guardiani di un faro costruito su uno scoglio poco lontano? E se così fosse, perché quest’uomo, che nulla ricorda della sua opera (e della quale, peraltro, non esistono documenti di sorta), sembra invece sapere perfettamente dove conduce un particolare e impervio camminamento dell’isola noto con il sinistro nome di Sentiero delle Bare? E ancora, perché quel sentiero di apre su un terreno nascosto alla vista, protetto, sul quale qualcuno ha piazzato delle arnie e sembra allevare api? A ogni parziale soluzione che Peter May consegna al lettore, a ogni tessera di puzzle utile a ricostruire l’identità dell’uomo della spiaggia, ecco giungere nuovi interrogativi; a ogni ipotesi scartata ecco spalancarsi altre possibilità, moltiplicarsi i dubbi, le incertezze, ramificarsi l’indagine. Finché, con l’ingresso di un nuovo personaggio, a tutti gli effetti co-protagonista del romanzo (una giovanissima ragazza orfana di padre e travolta dal dolore per la perdita subita), ecco che il quadro comincia a chiarirsi e il tutto prendere la forma di un gigantesco complotto dove a giocare un ruolo chiave è proprio la memoria. Quella degli uomini, con i loro segreti, e quella, differente ma ugualmente fondamentale, degli animali, o meglio degli insetti, delle api, che proprio grazie alle informazioni che conservano e che sono in grado di trasmettere ai loro simili, non solo vivono ma danno il loro indispensabile contributo alla sopravvivenza del pianeta, e in esso del genere umano.
Così, Il sentiero, nelle cadenze di un giallo tesissimo che non conosce cali di tensione si fa dapprima riflessione filosofica sul significato stesso dell’identità (chi siamo davvero? Quello che abbiamo fatto? Quello che abbiamo detto? Le nostre scelte? Il ricordo che abbiamo lasciato?) per poi aprirsi a una sorta spy story di ampio respiro che un delitto (e un colpevole da consegnare alla giustizia che potrebbe essere chiunque, perfino l’uomo alla disperata ricerca di se stesso) e il richiamo alle api e al loro ruolo nel fragile equilibrio di un mondo malato e in pericolo, rendono non solo più aggrovigliata ma soprattutto di estrema attualità.
Eccovi l’incipit. La traduzione, per Einaudi, è di Alessandra Montrucchio. Buona lettura.
La prima cosa di cui prendo coscienza è il gusto del sale. Mi riempie la bocca. Invasivo. Pervasivo. Mi domina completamente, soffocando tutti gli altri sensi. Finché non mi coglie il freddo.