Recensione di “Etica” di George Edward Moore
Se una cosa è intrinsecamente buona, la sua esistenza è sempre da considerarsi positiva, anche nel caso in cui la cosa intrinsecamente buona esistesse nel più completo isolamento. Ma cos’è l’intrinsecamente buono? Secondo quanto dichiara il filosofo George Edward Moore nel breve e denso saggio intitolato Etica (in Italia pubblicato da Franco Angeli nella Collana di Filosofia con traduzione e introduzione di Maria Vittoria Predaval Magrini) è un’esperienza che vale la pena di essere vissuta per se stessa.
Ed è proprio sul concetto di intrinsecamente buono che si fonda questo lavoro, pubblicato nove dopo i Principia Ethica (1903), il cui oggetto d’indagine – che è anche, a giudizio di Moore, il fine di ogni dottrina morale – è la “ricerca generale su cosa sia bene”. Come deve essere, però, questa ricerca? O detto altrimenti, esiste, nel pensiero etico di Moore, una dimensione prescrittiva? La ricerca generale di cosa sia bene si conclude con l’indicazione di norme da seguire affinché il bene divenga qualcosa di concreto, si faccia condotta buona, o comunque le include, oppure viaggia su un binario completamente diverso? Nel citare il Moore dei Principia Ethica, Predaval Magrini risponde a queste domande dapprima affermando che “non è compito del filosofo il consiglio o l’esortazione morale” e poi distinguendo, proprio sulla base di quanto riportato tra etica scientifica ed etica pratica, “con l’attribuzione”, scrive, “di un’assoluta priorità alla prima”. Etica scientifica, dunque; morale come conoscenza; ma anche in questo caso qualche domanda è d’obbligo: qual è la conoscenza propria della sfera del bene? La conoscenza scientifica? Un altro genere di conoscenza? E quest’ultimo caso, quale? Di nuovo, le risposte si trovano nella ricca introduzione al volume; scrive infatti Maria Vittoria Predaval Magrini: “È […] motivo dominante di tutti i Principia Ethica che i metodi e i procedimenti della conoscenza scientifica, tradizionalmente intesa, non possano essere di nessuna utilità in campo etico e che anzi costituiscano un ostacolo alla conoscenza del bene […]. Quel tipo di conoscenza peculiare che è dunque la conoscenza etica si presenta in Moore come una conoscenza di carattere intuitivo relativamente alla conoscenza del bene in sé, che per essere una proprietà non naturale, che è ma non esiste nel tempo, e per la sua semplicità, per il fatto che non è divisibile in parti, non è definibile, può essere soltanto intuito […]. Le proposizioni che riguardano la conoscenza del bene in sé, i giudizi etici, sono sempre proposizioni sintetiche, nel senso kantiano che Moore assegna al termine, e devono essere universalmente vere, mentre i giudizi relativi alla condotta sono in genere giudizi causali, e non sono mai universalmente veri perché considerano gli effetti delle azioni in rapporto alle circostanze delle azioni stesse che sono soggette a mutare nel tempo. Ciò che è buono in sé, ciò che è dotato di valore intrinseco, è per Moore assolutamente incondizionato”.
In sostanziale continuità tematica tra Principia ed Etica Moore offre dunque una visione del bene (e una conseguente filosofia morale) che ha l’indiscusso merito di sottrarsi a sterili indicazioni di “correttezza”, a valutazioni concrete (e inevitabilmente parziali) di comportamenti specifici, alla definizione (anch’essa per forza di cose insufficiente e lacunosa) di ciò che deve essere considerato “giusto” e di ciò che invece deve essere ritenuto “ingiusto”, ma anche il limite di fare di un concetto fondamentale qual è quello del bene un oggetto di contemplazione più che di studio. Nella sua disamina, condotta con linguaggio chiaro e rigoroso, che comincia con una analisi critica delle teorie utilitaristiche per concludersi nuovamente – dopo aver toccato temi quali il libero arbitrio e l’oggettività dei giudizi morali – con una trattazione del valore intrinseco, “criterio” ultimo del bene che il filosofo britannico non riesce a liberare da quella sorta di indefinibilità cui l’ha destinato, egli spiega come non possa esserci una caratteristica peculiare a tutte le cose intrinsecamente buone ma solo una caratteristica comune a esse, che si risolve proprio nell’essere tutte intrinsecamente buone. Semplice tautologia, dunque? Sarebbe forse troppo severo (e senza alcun dubbio miope) giudicare a questo modo un lavoro come Etica, che si sforza, spesso riuscendoci, di dare risposte, giungere a conclusioni, offrire prospettive. E tuttavia a lettura conclusa una sensazione di indeterminatezza resta, qualcosa che Predaval Magrini spiega così: “D’altra parte, il dualismo fra soggetto e oggetto, fra pensiero e natura, fra ciò che si coglie attraverso l’intuizione, che è semplice, indefinibile ed in ultima analisi ineffabile, e ciò che viene invece definito discorsivamente in termini di relazioni causali, per mezzo di giudizi e proposizioni, si attenua, ma sostanzialmente rimane”.
Eccovi l’inizio del saggio. Buona lettura.
L’etica è un argomento intorno al quale si è avuta e si ha tuttora una larghissima varietà di opinioni, malgrado tutto il tempo e la fatica che sono stati dedicati a studiarla.