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Spionaggio psicologico

Recensione di “Il fattore umano” di Graham Greene

Graham Greene, Il fattore umano, Mondadori
Graham Greene, Il fattore umano, Mondadori

Difficile che un romanzo di spionaggio offra più di una trama coinvolgente, un buon crescendo della tensione, qualche azzeccato colpo di scena, una conclusione all’altezza delle premesse (e delle aspettative suscitate nel corso della lettura). Difficile, dicevo, a meno che l’autore non sia Graham Greene. Indiscusso maestro del genere, ma soprattutto finissimo narratore, Greene “contamina” (in realtà sarebbe più esatto dire arricchisce, impreziosisce) i suoi intrecci stemperandoli nell’ironia, in qualche caso parodiandoli apertamente, oppure utilizzandoli come mera facciata dietro la quale costruire approfondite riflessioni psicologiche o veri e propri studi sul comportamento umano.


Nell’affascinante Il fattore umano, Graham Greene, attraverso il racconto delle avventure dell’agente del Foreign Office britannico Maurice Castle e del suo assistente Arthur Davis, esplora, come nei migliori romanzi psicologici, il conflitto radicale tra fedeltà alle regole e lealtà verso se stessi, e ne segue gli sviluppi fino alle più drammatiche conseguenze. L’incalzante procedere della vicenda, il susseguirsi delle sorprese e dei ribaltamenti di prospettiva, l’avanzare delle indagini, il formarsi dei sospetti, il loro rafforzarsi così come il loro dissolversi, persino le non rare parentesi di spensieratezza, sono allo stesso tempo uno spettacolo impeccabilmente messo in scena per avvincere il lettore e un messaggio in codice la cui decifrazione svela la reale consistenza del romanzo, la sua “vera natura”, che ne fa quasi un saggio.

Il fattore umano è un’opera densa di significati, esaltante, seducente, che dalla prima all’ultima pagina chiama il lettore al confronto. E continua a sollecitarlo anche a romanzo concluso.

Prima del romanzo, l’autore ha ritenuto di scrivere qualche riga di precisazione; non credo possa esserci miglior invito alla lettura. Eccovelo.

Un romanzo ambientato in un qualsiasi servizio segreto deve necessariamente contenere non pochi elementi di fantasia, poiché descrizioni realistiche violerebbero quasi certamente qualche clausola di qualche legge sui segreti di stato. L’operazione Zio Remo è soltanto un parto della fantasia dell’autore (e confido che tale rimanga), e immaginari sono tutti i personaggi, inglesi, africani, russi o polacchi. Al contempo, per citare Hans Andersen, un autore molto saggio che preferì sempre lavorare di fantasia, “con la realtà vengono foggiate le nostre storie immaginare”.

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