Recensione di “Un ragazzo normale” di Lorenzo Marone
“Giancarlo Siani, giornalista pubblicista de ‘ll Mattino’, è stato ammazzato dalla camorra sotto la sua abitazione, nel quartiere residenziale del Vomero, il 23 settembre 1985. Per rendergli giustizia e capire il perché del suo assassinio ci sono voluti dodici anni e tre pentiti. Nel 1997 la Corte d’Assise di Napoli ha condannato all’ergastolo i fratelli Nuvoletta e Luigi Baccante come mandanti dell’omicidio e Ciro Cappucci e Armando Del Core come esecutori materiali.
Nel suo articolo apparso sulle colonne de ‘ll Mattino’ il 10 giugno dell’ottantacinque, Giancarlo arrivò a ipotizzare che l’arresto del boss Valentino Gionta fosse stato possibile grazie a una soffiata della famiglia Nuvoletta, alleata dei Corleonesi di Totò Riina che erano interessati a spodestare il boss Gionta per porre fine alla guerra con il clan dei Bardellino. Siani si tirò contro le ire dei fratelli Nuvoletta che, agli occhi degli altri boss partenopei e di Cosa Nostra, passavano come ‘infami’, e ne fu sentenziata, perciò, la morte. L’organizzazione del delitto richiese circa tre mesi, durante i quali furono eseguiti appostamenti e perlustrazioni della zona da parte dei sicari […]. Questi sono i fatti. Il romanzo, però, non è e non vuol essere un resoconto degli ultimi mesi di vita di Giancarlo Siani, né si propone il compito di rivelare verità o aneddoti privati. Non è un libro su Giancarlo insomma, ma un libro con Giancarlo”. Lorenzo Marone, autore del delicato e bellissimo Un ragazzo normale (Feltrinelli), spiega così il suo romanzo, un omaggio timido a un giovane giornalista che aveva scelto di non chiudere gli occhi narrato in toni innocenti, quasi fiabeschi, attraverso la mediazione di un’età unica, quella della preadolescenza. Protagonista del lavoro di Marone, infatti, è il dodicenne Mimì, figlio dei custodi di uno stabile al Vomero, costretto nei due locali della portineria oltre che con mamma e papà, con la sorella Beatrice, di sei anni più grandi, due nonni e un cane. Povero ma tutt’altro che infelice, appassionato di letteratura, scienza, di ogni cosa che abbia a che fare con il sapere e la cultura, attratto dall’eloquenza, dal buon parlare, da un ricco vocabolario da sfoggiare in famiglia e con gli amici, Mimì è una specie di curiosa eccezione nel suo quartiere. Un ragazzo normale, certo, un ragazzo come tanti, ma nello stesso tempo qualcosa di diverso, una persona cui il calcio interessa poco, che comprende a fatica il delirio di gioia che travolge la città (e i suoi cari) all’annuncio dell’acquisto di Maradona, uno dei più grandi campioni di tutti i tempi, da parte del Napoli; un ragazzo il cui migliore amico è il figlio di salumiere ma che ai giochi in strada ama alternare esperimenti (nonché esercitarsi nella trasmissione del pensiero). E infine un ragazzo che si innamora perdutamente di una giovane che a fatica si accorge di lui, una fanciulla bellissima e benestante, quasi inavvicinabile e che pure Mimì in qualche misura, a prezzo di enormi sforzi, riesce a raggiungere. Merito delle parole, delle parole contenute nelle pagine dei libri.
Mimì, che adora i supereroi (complice un costume da Uomo Ragno che sa bene di non potersi permettere ma che proprio per questo non riesce a smettere di desiderare), che crede che non solo esistano, ma che debbano esistere persone abbastanza coraggiose da opporsi alle ingiustizie, alla criminalità – che a Napoli tutti conoscono, anche se sembra che nessuno sappia nulla, che nessuno voglia saperne nulla – trova proprio in Giancarlo Siani, nel suo entusiasmo, nel suo contagioso sorriso, nell’aperta simpatia dimostrata nei confronti di Mimì e delle sue bizzarrie, il modello di cui ha bisogno; e malgrado sia proprio Giancarlo a dirgli di non essere certo un eroe ma solo qualcuno che ama il mare, le ragazze, Vasco Rossi e che se davvero avesse dei superpoteri li userebbe per trasformare il suo contratto da precario in redazione (e siamo nel millenovecentoottantacinque!) in qualcosa di stabile e a tempo indeterminato, Mimì comprende, e se non comprende di certo intuisce, quel che significa davvero il lavoro di quel giornalista, così come si rende conto, per quanto oscuramente, nei limiti concessi a chi è poco più di un bambino, dei rischi che comporta. Rischi che Marone disegna come ombre, nubi temporalesche che inesorabilmente coprono il cielo terso dell’innocenza, della giovinezza, dell’amore.
Un ragazzo normale è un libro splendido. Racconta un oggi che purtroppo è ben lungi dal tramontare con assoluta chiarezza scegliendo però di lasciare ai margini la cruda aridità della cronaca e concentrandosi sulla ricchezza inesauribile della vita, sulle sue luci e le sue ombre, sulla sua pienezza, invincibile nonostante tutto. Il suo indimenticabile, commovente, libro con Giancarlo è il più squisito e luminoso dei tributi, perché giocato sulla lealtà d’acciaio della memoria.
Eccovi l’inizio, buona lettura.
A dodici anni sono diventato amico di un supereroe. Non uno di quelli classici, della Marvel per intenderci, che indossano mantello, maschera e tuta lucente, saltano da un luogo all’altro della città e volano fra i palazzi.