Recensione di “Annus Mirabilis” di Geraldine Brooks
“Questo libro è un’opera di fantasia, ispirata dalla vera storia degli abitanti del villaggio di Eyam, nel Derbyshire. La prima volta che andai a Eyam fu del tutto per caso, nell’estate del 1990. Allora vivevo a Londra e lavoravo come corrispondente per il Medio Oriente del The Wall Street Journal. Tra un reportage e l’altro in posti bollenti e travagliati come Gaza e Baghdad, cercavo di rilassarmi un po’ nella campagna inglese. Fu durante uno di questi vagabondaggi o peregrinazioni […] che mi colpì un interessante segnale stradale, che indicava la via per il villaggio della peste.
Fu lì che trovai la storia del travaglio dei suoi abitanti e della loro straordinaria decisione, raccontata in una teca posta all’esterno della chiesa di Saint Lawrence. La narrazione era così toccante e terribile, che mise radici nella mia immaginazione. Negli anni successivi, riportando le notizie di moderne tragedie da posti come la Bosnia e la Somalia, spesso il mio pensiero tornava a Eyam e cominciai a rendermi conto che questa era la storia che volevo raccontare più di tutte le altre. Questa sensazione si fece ancora più forte quando andai ad abitare in un villaggio rurale della Virginia, circa delle dimensioni di Eyam. Fu lì che la storia e i costi della quarantena divennero ancora più vividi. Mi chiesi cosa si sarebbe provato a fare una scelta del genere e scoprire poi che i due terzi dei tuoi vicini sarebbero morti entro un anno. Come ne sarebbero uscite la fede, le relazioni e l’ordine sociale? […] Come i suoi contemporanei del diciassettesimo secolo, Anna non sapeva cosa fosse la peste o come si diffondesse. La Yersinia pestis – peste bubbonica, morte nera, pestilenza – è un’infezione devastante di batteri che producono potenti tossine. Le enfiagioni della peste – i bubboni – sono linfonodi che si sono trasformati in tessuto necrotizzato ed emorragico. Entro uno o due giorni, un vasto numero di batteri invade il sangue, provocando una febbre che può superare i 42°, emorragia e trombosi. Fin dall’antichità si era osservata una moria di ratti che accompagnava la peste, ma solo nel 1898 uno scienziato, P.L. Simond, pubblicò sugli Annali dell’Istituto Pasteur una scoperta, da lui fatta, secondo la quale le responsabili della trasmissione della malattia agli esseri umani erano nel novanta per cento dei casi le pulci dei ratti infetti […]. Nel 1666 in Inghilterra la popolazione, colpita dal male, sbagliò bersaglio e credette che a diffondere la malattia fossero i gatti e i cani. Il conseguente massacro di questi animali eliminò i predatori dei ratti e dunque fece dilagare ancora di più la malattia. La peste esiste ancora. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ne registra tra i mille e i tremila casi l’anno. Ma grazie agli antibiotici non si rischia più uno sterminio di massa”. Affascinata dalla tragica storia del villaggio inglese di Eyam, flagellato da un’epidemia di peste nel 1666, Geraldine Brooks, nel suo bel romanzo intitolato Annus Mirabilis la riprende e la racconta, modificandola nei personaggi e inventandone la voce narrante, Anna Frith, donna giovane e coraggiosa, madre di due splendidi figli, vedova di un minatore morto tragicamente a causa del suo difficile e pericolosissimo lavoro e domestica del rettore del villaggio, Michael Mompellion, rispettato e amato pastore del pugno di anime di quel villaggio che, di fronte alla peste, vincola tutti gli abitanti a un giuramento di sacrificio: una quarantena volontaria che impedisca al morbo di colpire e devastare gli abitati vicini.
Brooks è bravissima a restituire un’atmosfera idilliaca al principio della narrazione (anche se il primo capitolo si apre in medias res, a epidemia conclamata, in un angosciante scenario di desolazione e morte) per poi procedere a una discesa agli inferi che sembra non avere fine. Con gli occhi, la mente e il cuore di Anna il lettore tocca con mano lo sgomento degli abitanti di fronte a un male contro il quale non sembra esserci rimedio, condivide i tormenti della protagonista, la cui forza d’animo, pur eccezionale, sembra in più di un’occasione soccombere alla violenza devastatrice della peste, si interroga con il rettore Mompellion sui disegni di Dio, imperscrutabili, colmi d’amore verso le sue creature anche nelle peggiori sofferenze, certo, eppure così difficili da accettare, anche se non soprattutto per coloro che nella fede sono saldissimi. Così il romanzo, forte di una prosa sontuosa, di grande potenza espressiva, e di una impeccabile ricostruzione d’ambiente, coinvolge, appassiona, commuove, avvince e, giunto al suo compimento, regala un finale che richiama quella giustizia distributiva, agli uomini tanto spesso negata, che nei suoi effetti appare come la più limpida dimostrazione, se non della bontà di Dio, di certo della sua saggezza.
Eccovi l’incipit del romanzo. La traduzione, per Neri Pozza, è di Francesca Diano. Buona lettura.
Un tempo amavo questa stagione. La legna accatastata vicino alla porta, l’odore intenso della linfa che parla della foresta. Il fieno raccolto, dorato nella luce del tardo pomeriggio. Il rumore delle mele che rotolano nei bidoni della cantina.