Recensione di “Il dottore e i diavoli” di Dylan Thomas
Edimburgo, XIX secolo. Robert Knox, chirurgo di fama e apprezzato professore di anatomia, è uno scienziato, uno specialista, un “materialista per cui il cuore […] è un complicato organo fisico e non ‘la sede dell’amore’, un uomo per cui l’anima, poiché non ha forma, non esiste”.
E tuttavia, dal momento che non possono darsi dogmi né certezze che non abbiano in sé il proprio paradosso, egli è al contempo un uomo “con dei sentimenti, delle aspirazioni spirituali, degli impulsi creativi, delle convinzioni sociali, delle passioni morali”. Cosa comporta tutto ciò? A quali conseguenze conduce questo congiungersi d’opposti? Al perseguimento, risponde Knox, di una costante ricerca della conoscenza dell’uomo nella sua interezza, da conquistare a qualsiasi costo e con ogni mezzo. E poiché la nobile scienza dell’anatomia “è parte della grande somma di tutta la Sapienza, che è la Verità”, ciò che chiunque voglia dirsi scienziato deve fare e raggiungere è dominare “l’intera Verità sulla Vita dell’Uomo in questa terra che si muove”. Questo l’obiettivo, dinanzi al quale nessuno scrupolo, nessun dubbio è consentito; nessuna incertezza permessa né giustificata. Ridisegnata per il cinema in una sceneggiatura scritta da Dylan Thomas, la figura storica di Knox (il cui nome muta in Rock nelle pagine del grande poeta e drammaturgo gallese) assurge a incarnazione di un male perfetto e assoluto nella sua cecità. Knox-Rock, brillante, cinico, programmaticamente anticonformista, sicuro di sé fino alla spavalderia, non esita a mettere in discussione il proprio tempo, a ergersi a insindacabile autorità morale, ad autonominarsi unico giudice legittimato a decidere della bontà del proprio operato, e in nome della missione che si è dato, che è quella divina della conoscenza, rifiuta di porsi limiti, di accettare anche solo l’idea di non potersi spingere fin dove desidera. Per comprendere la “macchina-uomo”, il suo funzionamento, per permettere alla scienza medica di crescere, di progredire, ai dottori erano necessari cadaveri da esaminare, e Knox, avido di corpi da dissezionare sul tavolo operatorio, cominciò a prenderne con regolarità da due irlandesi, ben remunerati per i loro sforzi. Ma come si procuravano, questi individui, quel materiale di studio così prezioso? A questa domanda Knox-Rock non rispose perché non ritenne mai necessario pensarci, ma quando si scoprì che i suoi fornitori soddisfacevano la sempre crescente domanda del loro committente uccidendo a sangue freddo mendicanti, lo scandalo travolse il dottore, trasformandolo da idolo a mostro. Elaborandone la storia per un film mai realizzato, Dylan Thomas dà vita – in uno splendido volume di sceneggiature intitolato Il dottore e i diavoli – in Italia pubblicato da Einaudi nella traduzione di Floriana Bossi ed Ettore Capriolo – a un cupo affresco che mescola il respiro del mystery (sempre più carico di tensione man mano che ci si approssima allo scioglimento dell’intreccio) alla riflessione filosofica sullo statuto etico del sapere, del conoscere. A questa riflessione, ai dilemmi che suscita, Thomas offre il palcoscenico di un dramma fiammeggiante, dove a far da contraltare al terribile replicarsi della morte è l’esplodere di una pubblica emotività (irrazionale e brutale nello stesso modo in cui è stata cieca la razionalità spietata incarnata da Knox-Rock) cui l’anatomista ormai disprezzato contrappone una fermezza adamantina che altro non è se non misura di un’irrimediabile solitudine: “Resterò qui. I bisbigli dei maldicenti e dei calunniatori saranno sempre intorno a me: topi dentro il muro. Resterò qui: conterò i miei amici sulle dita di una sola mano, poi su un dito solo, poi non potrò più contarli”.
Oltre a questa sceneggiatura, Il dottore e i diavoli contiene altri due scritti per il cinema: il primo, Vent’anni di crescita, dolce e malinconica meditazione su un’innocenza sfiorata e irrimediabilmente perduta e su un tempo reale e nello stesso quasi mitico dal quale sembrava naturalmente germogliare una quasi miracolosa purezza collettiva, riprende l’omonimo romanzo dello scrittore irlandese Maurice O’Sullivan, mentre il secondo, intitolato La spiaggia di Falesà (anche in questo caso ispirato a un’opera letteraria, un racconto di Robert Louis Stevenson), ambienta in un paradiso caraibico un’intricata e spaventosa vicenda di traffici illeciti, misteriose stregonerie e fin troppo umane invidie e gelosie.
Mirabile punto d’incontro tra linguaggio letterario e libera creatività espressiva, Il dottore e i diavoli è una lettura di straordinario fascino; sorprendente e suggestiva nella sua grande varietà di toni e atmosfere e più di tutto magnifica e splendente nella costruzione dei caratteri, alcuni dei quali davvero indimenticabili.
Eccovi l’incipit di Vent’anni di crescita. Buona lettura.
E’ mattino a Dingle, il villaggio-mercato. Si sente suonare la campanella fessa della scuola.