Recensione di “La natura dell’amore” di John Burnside
Sembra difficile credere che una parola dal suono così moderno e futile come glamour abbia radici nobili, che richiamano la magia, o per dir meglio l’incantesimo, la malìa che fa sì che colui che ne viene colpito perda se stesso, o forse solo quel che di sé è superfluo, per trovare, chissà, la sua vera natura, la sua assenza, o scoprire un particolare lato che non aveva mai pensato di avere.
Sembra quasi impossibile che un termine dal suono a dir poco fastidioso, così perfettamente rotondo, costruito lettera per lettera, sillaba dopo sillaba, meccanico, freddo, condivida la propria radice (dunque ciò che la fa essere quel che è e non altro) con grammatica, e ancora più si stenta a credere che quest’ultima, in un tempo ormai dimenticato, significasse non lo studio imposto di regole che paiono non aver nulla a che vedere non solo con la concreta vita di tutti i giorni ma addirittura con l’atto stesso di parlare, di comunicare, bensì qualsiasi forma di scrittura, che per il fatto di essere tale aveva qualcosa di speciale, in grado di suscitare curiosità, ammirazione. In grado di colpire, di affascinare. Come un incantesimo. E ancora, glamour vanta un apparentamento di tutto rispetto con il vocabolo francese grimoire, grimorio in italiano, che indica un testo magico, ma non un qualsiasi libro di questo genere; il grimorio infatti è un volume i cui segreti possono essere penetrati solo dagli iniziati a una conoscenza superiore, persone di enorme sapere e saggezza in grado di intervenire sulle leggi che governano il mondo, modificandole se necessario. Prende le mosse da qui, da un’indagine emotiva, a tratti istintuale, che procede per scarti, svolte improvvise, balzi in avanti e ritorni, che è a un tempo avventura e memoria, La natura dell’amore di John Burnside (in Italia pubblicato da Fazi nella traduzione di Giuseppina Oneto), saggio, memoir, autobiografia, romanzo e molto altro ancora; una storia, anzi una serie di appunti di storie il cui centro di gravità è l’amore, l’innamorarsi, lo spalancarsi della vita a un ignoto cui è impossibile sottrarsi.
L’amore, visto con gli occhi di Burnside che si racconta bambino, ragazzo e poi uomo in un trascorrere d’anni misurato in modo sempre diverso (nei colori caldi del ricordo, nel camminare deciso e insieme incerto della ricerca, nell’azzardo della fantasia, chiamata a disegnare un domani che non si è mai verificato e che pure avrebbe potuto darsi se solo, in un determinato momento, una scelta, una decisione, persino uno sguardo o una frase si fossero sostituiti a quel che invece è stato fatto e detto, o taciuto), somiglia al cammino di un acrobata sul filo, un muoversi prudente, lentissimo e subito dopo fulmineo, gli occhi fissi alla meta, i sensi all’erta e malgrado ciò ricettivi come non mai, capaci di cogliere fin nei minimi dettagli i sospiri d’ansia del pubblico pagante, gli sguardi allarmati, le mani che corrono a serrare la bocca già pronta all’urlo, i muscoli contratti fino allo spasimo. In questo procedere dove ogni cosa è sospesa, dal finale imprevedibile, l’amore è ovunque ed è qualsiasi cosa; sono le canzoni ascoltate alla radio, i cui testi, in un istante che cambia la forma e il senso di tutte le cose, raccontano qualcosa, e danno ragione di visi sognanti e strofe sussurrate a mezza bocca, comportamenti fino a quel momento giudicati con scherno quando non con aperto disprezzo; è la bellezza di un volto impossibile da descrivere; è l’imperfezione, il difetto, la stortura, in una parola tutto quel che ostinato non si arrende all’univocità miope, arrogante, di un’estetica che si pretende scienza esatta, è la parola che miracolosamente rinnova se stessa parlando dell’infinito e arrivando così a sfiorarlo.
La natura dell’amore non va letto come fosse un viaggio alla fine del quale ad attenderci è una meta, o soltanto il riposo, la quiete. Non è un libro che ha la pretesa di dare risposte o fornire spiegazioni (se lo fosse sarebbe un fallimento, mentre invece si tratta di un lavoro meraviglioso), non ha propriamente un inizio e dunque nemmeno si può dire che si concluda; la sua ultima pagina, infatti, potrebbe benissimo essere la prima. In mezzo ci sono molte cose, alcune che hanno un qualche legame con ciò che c’è stato in pagine già lette, altre che semplicemente sono state scritte perché per Burnside era giunto il momento di scriverle, e di donarcele. Per quanto possa sembrare assurdo, La natura dell’amore è una promessa, e una promessa mantenuta. Ti prometto, vi prometto, ci dice l’autore in queste pagine, che ne parleremo. Ancora e ancora….
Eccovi l’incipit. Buona lettura.
Nella primavera del 1958, la mia famiglia si trasferì dalla casa infestata di topi che affittava su King Street a uno degli ultimi prefabbricati di Cowdenbeath, proprio sul margine fra il bosco disseminato di macerie dietro Stenhouse Street e i campi sterposi che si estendevano al di là.