Recensione di “La città e la metropoli” di Jack Kerouac
“L’intero percorso della vita di Jack Kerouac (pseudonimo di Jean-Louis Lebris
de Kerouac), eroe emblematico di quella Beat Generation alla quale non a caso ha dato il nome, sembra costantemente in equilibrio tra un impulso di esplorazione e di rivolta vitalistica e un’opposta ricerca di consolazione e protezione, tra il desiderio del viaggio e il bisogno di sicurezza, del ritorno, della casa. Kerouac nasce il 12 marzo 1922 a Lowell, cittadina industriale del Massachusetts, da una famiglia di origini francocanadesi: il padre è tipografo-linotipista; la madre, fervente cattolica, si occupa dell’educazione dei figli e in seguito lavorerà in una fabbrica di calzature quando il marito perderà l’impiego […]. Il romanzo con cui Kerouac esordisce sulla scena letteraria è La città e la metropoli: composto tra il 1946 e il 1948, viene inizialmente rifiutato da diversi editori soprattutto per via dell’eccessiva lunghezza e sarà pubblicato soltanto nel 1950 presso i tipi di Harcourt Brace. L’opera, ricca di reminiscenze dello stile autobiografico di Thomas Wolfe, è ambientata prima e dopo la Seconda guerra mondiale, e narra le vicende di una famiglia che funge da microcosmo per la critica dell’autore alla scena americana contemporanea. Nel contrasto tra la metropoli newyorkese, cuore pulsante della Beat Generation, e la cittadina di provincia di Galloway, si scorgono già i germi di quella spaccatura che contraddistinguerà l’intera esistenza di Kerouac. La città e la metropoli introduce molti dei temi che caratterizzeranno la successiva produzione dell’autore. Kerouac considerava infatti l’insieme dei suoi scritti come una lunga e articolata autobiografia […]. L’esordio letterario di Kerouac con La città e la metropoli non è accolto con particolare favore dalla critica, che riconosce nel romanzo la presenza dei modelli del memoir à la Thomas Wolfe pur considerandolo generalmente, come sentenzia un articolo apparso sul ‘New Yorker’ nel 1950, un libro da conservare per quando non ci sarà nient’altro da leggere. Tuttavia Kerouac sta solo accordando il suo strumento e per tutta la vita proseguirà una ricerca tematico-formale che la critica giungerà ad apprezzare, e non senza serie riserve, soltanto in anni relativamente recenti. Oggi al suo primo romanzo è riconosciuta un’importanza fondamentale non solo per la profonda analisi del rapporto padre-figlio e per l’acuta riflessione sulla famiglia americana, ma soprattutto come testo cruciale per comprendere la successiva evoluzione della scrittura di Kerouac“. Così l’introduzione all’edizione Mondadori di The Town and the City (traduzione di Laura De Palma), opera prima del celebre scrittore americano, saga familiare a un tempo semplice e intricatissima, dove di continuo si sovrappongono pensieri, stati d’animo, drammi interiori e lo scorrere, placido solo in apparenza, dei fatti, il susseguirsi dei fatti, di quella quotidiana concretezza che non giungerà mai fino alle prime pagine dei giornali e che pure plasma i caratteri delle persone come l’acqua e il vento la roccia.
La famiglia protagonista della storia, specchio della famiglia Kerouac (con uno dei figli, l’inquieto, febbrile Peter, trasparente alter ego dell’autore), ha il respiro del tempo della natura; vive la fase gioiosa, quasi idilliaca, prossima a una sorta di perfezione commovente e bellissima proprio perché umana, perché fragile e zoppicante (ma di assoluta innocenza) della nascita – “[…] A nord di Galloway, in un luogo remoto, presso le sorgenti vicine al Canada, lì si alimenta il fiume, perpetuo, traboccando da infinite vene e fonti arcane. I bambini di Galloway siedono sulle rive del Merrimac a ponderare questi fatti e questi misteri […]. Gli adulti di Galloway sono meno interessati alle cogitazioni sulla sponda del fiume. Lavorano, loro” – della crescita e del vigore giovanile (e questa è la fase del risveglio primaverile e del rigoglio estivo, la cui forza è dirompente, esplosiva), poi quasi senza soluzione di continuità ecco avvicinarsi l’autunno dei sentimenti, che coincide con l’abbandono della fanciullezza, dell’adolescenza dei figli, con la prima vecchiaia dei genitori, e in parallelo con il tramontare inesorabile della fortuna negli affari, con l’affiorare degli egoismi, il moltiplicarsi delle incomprensioni, lo sfaldarsi dell’unità del focolare, che nessuno, esclusi mamma e papà, sente più come sicuro. E a lacerare definitivamente questo raffreddarsi del cuore ecco la tragedia della guerra, la morte e l’orrore; Kerouac non ne parla mai apertamente ma il suo silenzio ha la forza di un urlo. La guerra è forse un fantasma, uno spettro, ma la sua presenza è ovunque, il suo contagio inarrestabile. E alla fine sopravviverle equivale comunque ad arrendersi a una perdita, a un’amputazione; nessuno riemerge da quel trauma uguale com’era, ogni innocenza naufraga; alla città, conosciuta, amata, sicura, si sostituisce l’immensità oscura, ignota della metropoli, una trappola fatta di labirinti, di ossessioni, di una continua, estenuante, insensata lotta per non soccombere.
Eccovi l’incipit. Buona lettura.
La città è Galloway.