Che cosa significa la verità degli uomini per chi può vedere la luce di Dio? Come si può vivere
in mezzo agli altri, tra le creature mortali, a contatto con le loro debolezze e imperfezioni quando si è nella condizione di ascoltare la voce del Signore? Quando si è partecipi della Sua volontà, esecutori dei Suoi disegni, strumento della Sua azione, come si può continuare a essere, nel medesimo tempo, una persona, una persona tra le tante? Ma forse è vero l’opposto; forse è solo la possibilità di vedere le cose dal punto di vista di Dio che permette di comprendere, come meglio non si potrebbe, l’amore che Egli nutre per tutte le creature, e con esso la Sua misericordia, la Sua compassione, il senso del Suo sacrificio. Forse solo a chi viene concesso di elevarsi fino al cielo è dato di amare il prossimo così come si dovrebbe, così come tutti dovrebbero. Si snoda tra queste polarità della spirito la figura di Ildegarda di Bingen, una delle personalità più affascinanti della fede cristiana, narrata tra ricostruzione storica e invenzione creatrice da Anne Lise Marstrand-Jørgensen (Marsilio, traduzione di Ingrid Basso) in un romanzo, La sognatrice, che colpisce per ricchezza di stile, ricostruzione d’ambiente, disegno dei personaggi. Seguito de La guaritrice, che narrava gli anni dell’infanzia e della fanciullezza di Ildegarda, questo lavoro si apre su una donna che ha già compiuto molto del proprio cammino di fede. Ildegarda è una monaca ammirata e in molti casi temuta, risiede con le sue sorelle nel monastero benedettino di Disibodemberg, lavora con il suo inseparabile compagno Volmar a un libro attraverso il quale donare a tutti, ai fratelli, alle sorelle, al mondo, le visioni da cui è visitata, e ama di un amore assoluto, tra tutte le discepole, colei che immagina un giorno prenderà il suo posto, la giovane Richardis. Ma questa tranquillità, questo operare in apparenza privo di tribolazioni al servizio della fede, per la gloria di Dio, non è destinato a durare; essere la portavoce del Signore non è condizione che possa accompagnarsi alla serenità, non è qualcosa che non richieda sacrifici, prove. Così Ildegarda viene chiamata una volta ancora, ma quel che le si chiede è qualcosa che lei teme di non riuscire a fare: la voce, la Viva Luce (così la definisce quando parla con Volmar delle sue apparizioni) le chiede di strapparsi dalla sua dimora, di abbandonare le sue certezze, di perdere quello che ha di più caro. Dovrà lasciare Disibodemberg, fondare un nuovo monastero, ripartire da capo, affrontando ogni sorta di difficoltà. Ne sarà capace?
Se la prima parte del romanzo ci offre l’immagine di una donna forte e sicura, qualcosa di definito, un personaggio che non esita a tener testa all’abate e alla sua cerchia, qualcuno insomma che non si sente ospite lì dove si trova ma che anzi sa di essere, per il monastero – per i pellegrini che lo visitano in massa, per le donazioni che le ricche e nobili famiglie non si stancano di far pervenire (in omaggio a Ildegarda) – quasi la sua pietra angolare, nella seconda, che vede Ildegarda, dopo molti tentennamenti, molte paure, innumerevoli angosce, piegarsi alla richiesta, accettare di andarsene per incontrare un domani fatto solo di incognite, quel che l’autrice presenta ai lettori è insieme un cambiamento e una riscoperta. Ildegarda passa attraverso tormenti e dubbi, tutto ciò che si trova ad affrontare, nel suo ruolo di guida del manipolo di suore che la seguono e in quello, ben più profondo e importante ma che lei soltanto percepisce, di donna tra le donne, la segna indelebilmente, la cambia in qualche misura, eppure questo cambiamento finisce per far riemergere, ancora più forte di prima, la figura già incontrata, colei che in ogni suo respiro traduce per i popoli, per le genti, la parola di Dio: “Hildegard torna a guardare le donne, le manca il fiato per un’inspiegabile inquietudine, uno schiocco nella cassa toracica spezza i fili tra loro e lei […]. A volte le viene in mente che le donne senza dubbio si sforzano per guadagnare il Paradiso, ma che questo sforzo copra soltanto un desiderio terreno di piacere e agio [..]. Non ha occhi che per la loro impazienza, indolenza e periodica indifferenza e dimentica così la bellezza, non vede la loro dolcezza, le loro sentite confessioni, la loro fedeltà nei suoi confronti, la loro costanza nella preghiera”.
Travolgente nella ricchezza della sua prosa, La sognatrice è un romanzo che cattura dalla prima all’ultima pagina, capace di restituire intatta l’articolazione di una realtà lontana da noi nel tempo e nello spirito; lontana ma non irraggiungibile.
Eccovi l’incipit. Buona lettura.
La notte rende ciechi gli uomini.