Il ruscello e la piena
Recensione di “Avviso ai naviganti” di Annie Proulx
“Nella sua raccolta di saggi e recensioni In Rough Country, Joyce Carol Oates dedica
“Nella sua raccolta di saggi e recensioni In Rough Country, Joyce Carol Oates dedica
Che andiate in qualche località di vacanza oppure no, eccovi dei suggerimenti di lettura. Perché i libri sono la migliore compagnia possibile, e perché è bello parlar di loro, specie dopo aver discusso per mesi e mesi di un pandemia che ancora non ci siamo lasciati del tutto alle spalle. Buona estate dunque, e buone letture a tutti.
“Solo dopo aver scritto l’ottavo e ultimo romanzo della serie di Kurt Wallander ho capito quale sottotitolo avevo sempre cercato, senza mai trovarlo. Quando tutto era finito, o quasi, ho capito che il sottotitolo della serie doveva essere I romanzi dell’inquietudine svedese. Avrei dovuto trovarlo prima. Questi romanzi, in fondo, pur nella loro varietà, hanno sempre girato intorno a un unico tema: che cosa è successo negli anni novanta allo Stato di diritto?Leggi tutto »Prima del principio
Qualche titolo (pochi) che spero possa servirvi per scegliere le letture estive. Le ragioni della selezione stanno nelle recensioni, cui, libro per libro, vi rimando. Grazie a tutti e buona lettura!
Cormac McCarthy racconta di un tempo che sembra appartenere all’infanzia del mondo, e di luoghi che conservano una sorta di letale purezza, quasi fossero angoli d’Eden precipitati nel fango a causa del peccato dell’uomo. La realtà narrata dallo scrittore americano, dalla sua prosa forte, aspra, che attanaglia le viscere, colma il cuore d’emozione e gli occhi di pianto, conserva un’anima primitiva, incorrotta, solenne e selvaggia, allo stesso tempo splendida e abietta.
Milano. Una zona come tante, abitata da persone come tante. Almeno a prima vista. Perché quella zona è in qualche modo unica, e unici, nel bene come nel male, sono coloro che vivono lì; un esercito di vinti, di sconfitti, una “crociata di pezzenti” che tuttavia, al di là delle difficoltà in cui si trova, vive, e in qualche misterioso modo riesce persino a essere felice, o quantomeno non smette di provarci.
L’impreciso, zoppicante fluire di un tempo eterno, inconoscibile e trascendente è il respiro di una terra desolata e moribonda, è l’eco di un silenzio cupo calato come tenebra sul mondo, è il cieco labirinto di stagioni replicate la cui primordiale, purissima violenza si rovescia incessante su uomini e cose.
Una famiglia, un neonato. Per i neogenitori, quella che dovrebbe essere un’avventura entusiasmante diventa poco alla volta un’esperienza terribile. A pesare su di loro sono i rapporti non risolti con i rispettivi genitori. La neomamma realizza che quello che avrebbe dovuto essere un rapporto d’amore (il suo con i genitori), e che in effetti è stato un legame di questo genere, in realtà si è sviluppato come una prova di forza e ha evidenziato inquietanti tratti di violenza psicologica. Ora la donna teme di far rivivere le stesse cose al proprio figlio e vorrebbe ribellarsi a questo destino.
Clarissa e Lorenzo, madre e figlio, due vite normali, almeno in apparenza. Perché in realtà Clarissa è prigioniera di vissuti terribili fatti di miseria, brutalità e indifferenza. Decisa a reagire al suo passato, Clarissa giura che suo figlio non subirà quel che lei è stata costretta a patire, ma non è in grado di mantenere l’impegno preso. La trama dei suoi giorni di dolore, infatti, inevitabilmente riverbera nel crescere del figlio, al quale la donna offre, seppur con commovente generosità, soltanto un amore allucinato, che ha a proprio prezzo l’impossibilità di essere ciò che per definizione dovrebbe essere: libertà.
Donare parole a ciò che è per sua natura inesprimibile, dare voce al maestoso silenzio della natura e ai suoi ritmi eterni, ai colori dell’alba e alla luce obliqua del tramonto, al confuso odorare della terra, al sordo tambureggiare del tuono, al grigiore indistinto ma vivo e terribile del cielo che annuncia lo scatenarsi della tempesta, al tenace fragore del fiume, significa fronteggiare l’assoluto e adottarne il codice espressivo, significa vestirsi d’immortalità, significa far coincidere in un unico gesto la nuda contemplazione del mondo e la sua descrizione, come fossero l’una la naturale emanazione dell’altra, come se a legare questi due momenti fosse una spirituale concatenazione di causa ed effetto.