Dove nessuno è re, tutti sono nudi
Recensione di “L’Adalgisa” di Carlo Emilio Gadda
Il dialetto milanese esibito nello stesso tempo con orgoglio e disprezzo; il primo
Il dialetto milanese esibito nello stesso tempo con orgoglio e disprezzo; il primo
La citazione che non t’aspetti di Madame Bovary la offre Tom Wolfe nel divertente, e per certi versi assai istruttivo romanzo Io sono Charlotte Simmons (recensito qui). Charlotte, brillante studentessa, sta seguendo all’università un corso avanzato di letteratura francese e l’argomento scelto dall’insegnante è il capolavoro di Gustave Flaubert.
Il viaggio, metafora fin troppo trasparente e abusata della presa di coscienza di sé, del tempo perduto, della vita mai davvero vissuta, riflesso nello specchio deformante della vacanza borghese, della villeggiatura quieta e noiosa, muta nel suo opposto, inciampa in un opaco groviglio di rimpianti, si smarrisce in un cortocircuito pensieri confusi, di desideri intensi e inesplorati, di sogni a occhi aperti che hanno il sapore metallico degli incubi, e finisce per ritrovarsi sempre nello stesso luogo, coincidenza di principio e fine, illusorio spiraglio di libertà, replica odiosa eppure irresistibile della quotidiana prigionia dell’esistere.Leggi tutto »La miseria di un uomo vivo
“Sapete voi […] che esistono al mondo tre tipi di uomini, il prete, il medico ed il magistrato i quali non possono nutrire molta stima per il prossimo? Forse per questo, vestono di nero: portano il lutto di tutte le virtù, di tutte le illusioni infrante. Ma il più sventurato è l’avvocato. Quando ci si rivolge al sacerdote è perché ci comanda il pentimento, il rimorso, la fede che riscalda ed eleva il sentimento; il sacerdote trova nella sua missione una gioia intima: egli purifica, assolve, riconcilia.
Sullo sfondo di una città anonima e universale, che si indovina per sottrazione nei viali lucidi di pioggia, nel silenzio innaturale dei parchi e nella congestione odiosa del traffico; sul palcoscenico nobile e tetro di appartamenti un tempo magnifici, trascurati dagli anni e ignobilmente sfruttati e traditi da coloro che li abitano; nell’ossequio impeccabile e impersonale (e impeccabile proprio perché impersonale) alle regole della convivenza e della convenienza sociale, all’etichetta, si trascina e si consuma un esistere d’apparenza, una vita d’ombra, la tortura soffocante dell’eterno ritorno del nulla, l’incolore parabola del nascere e del morire.