Lowell-Galloway
Recensione di “La città e la metropoli” di Jack Kerouac
“L’intero percorso della vita di Jack Kerouac (pseudonimo di Jean-Louis Lebris
“L’intero percorso della vita di Jack Kerouac (pseudonimo di Jean-Louis Lebris
Agosto 1974, New York, World Trade Center. Un cavo teso tra le due torri a centodieci piani di
Sentirsi all’inferno non significa affatto esserci davvero. A scoprirlo, al termine di una notte trascorsa tra chiacchiere (superflue) e bevute (eccessive) in compagnia di due compagni quasi occasionali – un collega appena conosciuto e un amico di quest’ultimo –
Leggi tutto »Nel Lower East Side
“Lo si confessi: tutti hanno letto prima o poi dei ‘gialli’, e proprio quelli del settimanale mondadoriano per lunghi anni dedito ai modelli più ‘classici’, da Edgar Wallace ad Agatha Christie e oltre, dai meccanismi limati e riconoscibili, presto familiari. Ho conosciuto fior di intellettuali e austeri professionisti che confessavano, in verità senza vergogna, di rilassarsi leggendo gialli.
New York, alla fine degli anni Quaranta, è allo stesso tempo un rifugio e una prigione. Agli occhi di un gruppo di ebrei sopravvissuti all’immane tragedia dello sterminio nazista la città offre protezione, sicurezza, finanche riposo, mai i suoi silenzi, la sua tranquillità apparente, la distanza quasi incolmabile (eppure non sufficiente) che la divide da quell’Europa d’incubo dove si accumulano milioni di cadaveri, dove la guerra appena conclusa tortura incessantemente i corpi e le anime di coloro che sono scampati ai suoi artigli, restituiscono l’eco degli orrori perpetrati e subiti e con esso la scandalosa, radicale assenza di qualcosa che possa anche solo somigliare a una ragione, a un perché, a un disegno, a una volontà per quanto oscura e indecifrabile.Leggi tutto »L’ombra del fiume e della volontà di Dio
“Be’, i romanzi li detesto ancora. Continuano a sembrarmi dei tessuti composti da esagerazioni, semplificazioni, una dolcezza che falsifica; e adesso questa verità la conosco, per così dire, dall’interno, avendone scritto uno anch’io e verificato quali trucchi ed espedienti sono richiesti per tirare fuori un punto di vista parzialissimo, un panno sbrindellato più buchi che fili, e trasformarlo in quella che sembra una stoffa liscia e compatta”.
Un luogo e un non-luogo, una realtà e il suo contrario, ma anche una iperrealtà, uno spazio non identificabile eppure concreto dove si incontrano, compenetrandosi, le prospettive impossibili di incubi generati da un’immaginazione vertiginosa e insaziabile e i quotidiani orrori figli della peste oscura e onnipresente della modernità, le logiche predatorie di un presente che odora di fogna e Medioevo e le fughe impazzite, incoerenti, sature di ogni possibile follia, di chi non riesce a pensare ad altro che a sopravvivere.
La disposofobia, disturbo ossessivo-compulsivo che spinge chi ne è affetto ad accumulare oggetti di ogni tipo (il più delle volte completamente inutili) senza più riuscire a disfarsene, è noto anche con un altro nome, un termine che non ha nulla a che fare con la fredda esattezza della nomenclatura medica ed è carico di quel fascino sottile, di quella forza quasi ipnotica di attrazione e coinvolgimento che sono proprie delle storie non comuni, degli eventi eccezionali, di quei fatti straordinari e unici che sconvolgono l’ordine della realtà al punto da superarla, germogliando oltre essa in forma d’aneddoto, cristallizzandosi come memoria condivisa, patrimonio, eredità: sindrome dei fratelli Collyer.Leggi tutto »La spietata invadenza del mondo
Chi è davvero Jay Gatsby? Un impostore? Un contrabbandiere privo di scrupoli? Oppure un affascinante giovane di successo che abita in una casa da sogno nei pressi di Long Island e organizza feste splendide cui partecipa tutto il bel mondo newyorkese? Chi è veramente quest’uomo enigmatico, che sembra aver fatto ogni genere di esperienza e nonostante ciò trascorre la propria vita in una trasognata ingenuità fanciullesca, attratto, come da un canto di sirena, esclusivamente dall’irrealizzabile?
L’eccitata fantasia di un bambino, la sua sensibilità nervosa, fiammeggiante, che di ogni esperienza disegna arabeschi e intanto immagina, interpreta, sogna il progressivo formarsi del mondo. E la voce dei genitori; il soffio caldo e rassicurante della madre, poi l’autorevole timbro paterno, ragione di tutto quel che accade e principio stesso della vita.