Lowell-Galloway
Recensione di “La città e la metropoli” di Jack Kerouac
“L’intero percorso della vita di Jack Kerouac (pseudonimo di Jean-Louis Lebris
“L’intero percorso della vita di Jack Kerouac (pseudonimo di Jean-Louis Lebris
“Sono lieto che il mio amico Eric Metaxas abbia scritto questo libro su Dietrich
“Ora che sono passati conquant’anni dalla prima edizione di Il nudo e il morto, pubblicato
“Granate che esplodono e porte che sbattono. Le pagine di Sotto una buona stella sono lacerate da due guerre. Quella combattuta dal giovane soldato americano Robert Prentice, che salpa dagli Stati Uniti Leggi tutto »Un’unica guerra
“Fu solo quando mi trasferii a Manhattan, alcuni anni fa, che compresi con improvvisa chiarezza fino a che punto l’esperienza dell’11 settembre 2001 fosse stata diversa per i newyorchesi rispetto a chi aveva seguito la tragedia a distanza. A subire l’attacco era stata la loro città natale.
Leggi tutto »Cinquantasette notti
L’orrore mutato in comicità, la paura che si dissolve in un ghigno, la realtà vestita d’assurdo, così strettamente aggrovigliata a situazioni improbabili, assurde e folli da perdere qualsiasi somiglianza con il vero, con tutto ciò che ha qualche probabilità di accadere.
Leggi tutto »L’oro e la morte
“A sentire Alberto Savinio, «uno dei probabili etimi di Mare, e proposto come tale da Curtius, è il sanscrito Maru, che significa deserto e propriamente cosa morta, dalla radica Mar, morire». Ebbene, ambientato in un piccolo paese della riva siciliana dello Stretto di Messina, Horcynus Orca è un romanzo di morte e di mare che si chiude sopra il deserto dei valori di un mondo travolto dalla guerra […]. Epica e religione?
“Lisbona, San Francisco e Tokyo furono distrutte dai terremoti in pochi minuti; passarono parecchi giorni prima che gli incendi di Roma, Chicago e Londra venissero spenti. I roghi e le scosse che colpirono quel punto della superficie terrestre collocato a 52 gradi e 30 di latitudine nord e a 13 gradi e 24 di longitudine est durarono per quasi due anni. Cominciarono nella notte, buia e serena, del 23 agosto 1943 e cessarono nel grigiore piovoso del 2 maggio 1945. In quel punto, a 32 metri sul livello del mare, su un deposito sabbioso risalente all’era glaciale, fino alla notte in cui prese avvio la sua fatale distruzione sorgeva la città di Berlino”.
Chiamata a esprimere l’inesprimibile, a dare voce (e dunque, almeno in qualche misura, anche un perché, una ragione) a orrori così spaventosi da non poter essere neppure immaginati, la parola si scopre capace di superare di se stessa; trova lo slancio necessario a ridisegnare la propria geografia semantica, arriva a nutrirsi di quella folle, generosa anarchia che sola le permette di reinventarsi nella forma, nello stile, nell’architettura narrativa, e in tal modo replica alla realtà d’incubo con la quale è chiamata a misurarsi con l’abbagliante esultanza di un miracolo creativo.
Settembre 1939. Leggerezza, spensieratezza e perfino felicità sbiadiscono nel ricordo, impallidiscono nella memoria per far ritorno, come spettri, furie, erinni, nella rabbia e nello sdegno per l’illusoria “pace con onore” orgogliosamente rivendicata dal Primo Ministro Chamberlain.