Il principio d’identità
Recensione di “Ferrovie del Messico” di Gian Marco Griffi
“Dopo aver finito di leggere Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi sono andato alla
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“Per quanto riesco a ricordare, questi racconti furono scritti tra il 1958 e il 1964. I primi quattro
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Il complotto contro l’America è un prodotto squisitamente americano; è l’aggravarsi inconsapevole del processo di involuzione di un organismo sociale la cui idea di libertà è impallidita nell’utilitaristico concetto di merce; è la contraddizione (inesplosa ma niente affatto dormiente) tra il diritto rivendicato all’autodeterminazione di ciascuno e di tutti e l’asservimento – che di momento in momento si fa più forte – di tutti e di ciascuno alle logiche del mercato, del profitto, all’imperativo categorico dell’assurdo che pretende una crescita continua all’interno di un mondo dalle risorse tutt’altro che infinite; è la menzogna planetaria di internet, luogo-non luogo dell’utopia finalmente realizzata, della “democrazia compiuta” imperante, dell’“informazione libera” diffusa a piene mani, della “verità” alla portata di tutti fondata sul controllo:
Imprevedibile alchimista del romanzo, sperimentatore geniale, archeologo letterario, scomodo ritrattista di storie dimenticate dalla storia stessa, Thomas Pynchon si concede la (calcolata) debolezza artistica e personale dello struggimento, di una sincera, nostalgica dichiarazione d’amore, ma, fedele alla propria vocazione alla burla, alla follia lucidissima del sistematico rovesciamento di prospettiva, al fascino del paradosso elegante, del cinismo squisito, della raffinata autoironia, dell’umorismo puntuto e irresistibilmente scorretto, trasforma questo suo delicato omaggio alla stagione perduta della giovinezza e della libertà (quella dei primissimi anni settanta) in un noir meravigliosamente sconclusionato, dove si rincorrono eccessi, dove ogni trama è disegnata nei contorni morbidi, imprecisati e potenzialmente universali del sogno e i personaggi che la vivono e interpretano sfoggiano una contagiosa improbabilità che li rende miracolosamente adatti al puntuale verificarsi dell’assurdo.
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Molteplice come i nomi cui può fare riferimento, o come i luoghi (reali o fantastici) che suggerisce alla memoria e all’immaginazione; complessa, come la verità che sembra promettere ma che continuamente sfugge, in un gioco di rimandi, di relazioni impossibili e di disordine creativo nel quale, come nell’immobile eterno ritorno dell’araba fenice, principio e fine coincidono;
Romanzo storico per ambientazione e sorprendente “saggio” filologico per scelta linguistica, Mason & Dixon di Thomas Pynchon è forse il più sperimentale tra i suoi lavori; si tratta, infatti, di un torrenziale, meraviglioso esercizio di stile dove ogni cosa sembra intrecciarsi al suo opposto, dove il passato abbraccia l’invenzione, la razionalità si ubriaca di follia e la realtà sfuma nell’universo sconfinato dell’immaginazione creatrice.
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Leggere Thomas Pynchon è un’esperienza che non somiglia a nessun’altra. Perdersi nei suoi labirinti linguistici, indovinare la trama dei romanzi, sottilissima striscia di sabbia che corre sinuosa lungo traiettorie imprevedibili disseminate di mille e mille altre storie, seguire le scelte e le decisioni dei personaggi, il loro agire, tra disperato e grottesco, in contesti che del reale hanno la fugace apparenza e del suo contrario un’immaginifica, entusiasmante sostanza, esplorare, pur tra infiniti giochi di specchi, il suo nitido universo etico, condividerne le decise prese di posizione, è qualcosa che richiede ben più che una favorevole predisposizione d’animo o una rocciosa forza di volontà.Leggi tutto »Nella camera da letto di Dio
Sull’uomo Thomas Pynchon non c’è molto da dire. Non concede interviste, evita qualsiasi genere di esposizione mediatica, non frequenta i colleghi scrittori (a eccezione, pare, di Don DeLillo). Insomma, è un oggetto misterioso, e come spesso accade in questi casi, alla scarsità di notizie fa da contraltare un eccesso di congetture e speculazioni. Sul suo conto ne sono sorte di ogni genere; tra le più divertenti, quella secondo la quale Pynchon non esiste, è il nome d’arte dietro il quale di cela J.D. Salinger. Un sincero plauso all’originalità, peccato però che la fantasiosa ipotesi sia caduta (e scaduta) nel 2010, alla morte del celebrato autore de Il giovane Holden.